Alcuni mi hanno chiesto maggiori informazioni su HIVoices, il laboratorio residenziale per uomini gay HIV+ di cui abbiamo parlato il mese scorso. Non è un gruppo di auto aiuto ma un incontro guidato da due formatori, una novità assoluta per l’Italia e si svolgerà dal 24 al 26 settembre. Rivolgo le domande direttamente a Sandro Mattioli, responsabile del Settore Salute del Cassero di Bologna che ha ideato l’evento.
Inizio subito con una mia curiosità, visto che mi riguarda personalmente. Si parla anche di coppie sierodiscordanti, questo significa che sono ammessi eventualmente anche i propri compagni sieronegativi?
Hai centrato in pieno uno dei punti sul quale abbiamo discusso a lungo con i formatori. Per il momento abbiamo convenuto che per questo primo step, primo progetto pilota, fosse meglio avere un target composto da sole persone sieropositive, che vivono quindi personalmente il problema. Tuttavia non è mia intenzione lasciare cadere il tema delle coppie sierodiscordanti che sarà sicuramente uno dei temi trattati nei prossimi laboratori, sempre che questo progetto abbia il successo auspicato.
Secondo te, in Italia, in quanti siamo a dichiarare pubblicamente di essere gay sieropositivi? Come interpreti questo dato?
È una domanda da un milione di dollari. Le persone fanno coming out quando si sentono pronte, quando raggiungono un buon livello di accettazione di se stesse, quando sentono che la società in cui vivono, l’ambiente che frequentano è pronto per una simile dichiarazione. Tutto questo ben raramente si verifica in Italia. Da noi una persona che vive con Hiv è ancora pesantemente soggetta a discriminazione sociale, spesso è isolata. Non è per caso che i sieropositivi si cerchino l’un l’altro, per esempio in chat dedicate, perché è fortissimo il bisogno di instaurare una relazione, sentimentale o amicale che sia, che non preveda la “confessione” del proprio stato sierologico che, ancora oggi a oltre 25 anni dall’inizio dell’epidemia, è vissuto in modo traumatico. Pertanto sono pochissime le persone sieropositive visibili. Per quanto riguarda i gay sieropositivi quello che ho detto sopra è doppiamente vero, in senso letterale. Un omosessuale in Italia è già soggetto ad una serie infinita di possibilità, tutt’altro che remote come sappiamo, di discriminazioni: può avere problemi in famiglia, con gli amici, subire discriminazioni sul lavoro, essere additato, deriso, isolato, o peggio picchiato o addirittura ucciso. Abbiamo leggi o diritti che valgono solo se sei eterosessuale e così via, cose che sappiamo. Una situazione non certo piacevole che, nel caso di gay Hiv+, va moltiplicata per due, perché lo stesso film si ripropone anche per quanto riguarda lo stato sierologico e, questa volta, spesso anche all’interno della comunità omosessuale.
Io sono dieci anni che ho trovato in Franco, il mio fidanzato, tutto il mio mondo. Tu che per il tuo ruolo sei più in contatto con persone che frequentano luoghi di incontro casuali, mi sai dire se lo stigma è ancora elevato come allora o se adesso, davanti a un sieropositivo che lo dichiara, la gente ha smesso di scappare? Esiste ancora nei locali quel servizio di intelligence chiamato “radio serva” che cerca di sputtanare sieropositivi e presunti tali? Se sì, come ci si può difendere secondo te?
Negli “incontri” occasionali, ammesso che si parli di qualcosa, il tema centrale non è certo l’Hiv. Ovviamente non si può generalizzare, ma spesso la paura del contagio, l’ignoranza sui temi del contagio e della prevenzione e anche certa pubblicità sottesa a porre dubbi (infondati!) sulla reale sicurezza del sesso protetto, fanno si che molte persone vengano prese dall’ansia, che solitamente non aiuta l’erezione, e lasciano perdere. Non stupisce che buona parte delle persone sieropositive non rivelino il proprio stato in queste occasioni da una botta e via. È auspicabile che pratichino sempre sesso sicuro, che, in caso di problemi, dicano di essere Hiv+ e si offrano di accompagnare il partner sessuale in un centro clinico per la Pep, ma non è pensabile che rivelino lo stato sierologico a prescindere. Sanno bene che tornerebbero a casa ancora più depressi. Quanto al servizio di intelligence “radio serva”, in parte è ancora presente. È uno dei motivi che spesso mi costringono a parlare con le persone neodiagnosticate ovunque tranne che al Cassero. Qualcuno lo dice apertamente: “Se mi vedono, non scopo più”. L’idea del laboratorio e le altre iniziative in programma, vogliono cercare di incidere concretamente nel modificare questa mentalità.
Noi stiamo lavorando per far sì che l’Hiv venga sempre più considerata un’infezione come le altre.
Piano piano le cose stanno cambiando e sono fiducioso per il futuro.
Grazie ancora a Sandro Mattioli e all’Arcigay per questa e per le tante altre iniziative mirate per i gay sieropositivi.
La pagina informativa si trova su www.casserosalute.it, le iscrizioni si chiudono il 10 settembre.