Al povero Gregor Samsa nella Metamorfosi di Kafka capitava di svegliarsi una mattina e trovarsi trasformato in uno scarafaggio gigante. A Helen, protagonista di H to He, seducente bionda in corpetto simil-Madonna, calze a rete, minigonna di pelle, unghie e ciglia finte, succede di vedersi lentamente mutare in un uomo. Autrice e acclamata interprete della pièce è l’inglese Claire Dowie, una delle più apprezzate esponenti della stand up comedy, genere teatrale tipicamente britannico, assimilabile al nostro cabaret. 55 anni, drammaturga tradotta in tutta Europa, lesbica dichiarata “senza tragedie alle spalle”, da lungo tempo legata al regista gay Colin Watkeys dal quale ha avuto due figli, Claire ha sempre diviso l’establishment glbt per le sue posizioni anticonformiste. La incontriamo al Teatro della Limonaia di Sesto Fiorentino dove ha inaugurato la 25° edizione del Festival Intercity. Un altro suo testo, Benji, è atteso a Milano (al teatro Litta, dal 20 al 22/11 e dal 27/11 al 2/12, www.teatrolitta.it)
Di cosa tratta questo tuo lavoro?
Con H to He parlo di cambiamento: Kafka è chiaramente solo una fonte d’ispirazione. Mi sono chiesta come mi sentirei se un giorno mi trasformassi in un uomo. È anche una riflessione sul transgender e sul suo essere “in between”, nel mezzo di due sessi, ma anche una considerazione sul tempo che fugge. La mia scrittura parte sempre da un personaggio e in questo caso è una donna della mia età, magari con i peli sotto al mento che cominciano a crescere. L’invecchiare è orrendo ma anche interessante: con la giovinezza spariscono le sue rigidità e spesso si diventa più liberi e fortificati. Inutile fare resistenza contro il tempo, guarda Madonna: si è rifatta da cima a fondo e pur con tutta la ginnastica che fa, quando sale sul palco dimostra tutti i suoi anni. La natura di H è affascinante: lei/lui fa piazza pulita delle etichette di androginia o di mancanza di sesso e al contrario straripa di energia sessuale transgender.
Il pubblico ha l’impressione che col cambiamento di genere si arrivi a una sorta di pacificazione e benessere interiore…
È vero. Non è solo il cambiare genere, ma l’atto simbolico del maschio che alla fine si mette la parrucca vuole significare l’amalgama dei generi: in quel momento è sia uomo che donna, un tutto unico. Noi tutti, io credo, siamo per metà uomini e per metà donne: l’integrazione tra le due componenti può portare alla felicità.
Nel corso degli anni sono mutati i contenuti e le forme dell’esplorazione che da sempre conduci nell’ambito della sessualità?
Il tema che ora mi appassiona di più è l’invecchiamento e la progressiva caduta di barriere e differenze tra uomini e donne: dopo che da bambini sono stati simili, finiscono per tornare a esserlo anche da vecchi, sia nel modo di vestire che in quello di agire. Questo mi spinge ad approfondire ulteriormente le diversità che stanno nel periodo di mezzo, fagocitate dalla società che impone modelli di comportamento di genere rigidamente distinti.
Una novità è di certo l’aver scritto un romanzo, Caos (pubblicato da Gremese): ci troviamo le stesse tematiche del tuo teatro?
No, è stato uno stacco. Parlo di politica, di come venga incoraggiato il consumismo selvaggio e il capitalismo sfrenato. Immagino che Caos, il protagonista figlio dei fiori cresciuto in una comune, si faccia paladino di una crociata attraverso il rock’n’roll e viaggiando per il paese cerchi di convertire la gente ai valori dell’amore libero, delle potenzialità delle droghe e delle coltivazioni biologiche. Insieme alla sua band diventa presto una sorta di guru finché un giorno sul palco gli compare accanto Tony Blair… Faccio vedere cosa succede ai rivoluzionari quando il sistema li corteggia e finisce per inglobarli.
Benji andrà a breve in scena nei nostri teatri: ce ne parli?
È uno dei primi lavori che ho scritto e l’avevo in testa da molto tempo. Non verte su temi di genere anche se curiosamente tutti pensano che il protagonista sia una ragazza mentre io avevo immaginato fosse un ragazzo e nel testo non ne avevo mai specificato il genere. Al momento della pubblicazione ho litigato con l’editore che ha imposto al personaggio un’identità femminile. Una ragazzina/o che, sofferente di disagio psichico e in conflitto coi genitori, s’inventa un amico immaginario a cui imputa il turpiloquio e gli atti di ribellione e violenza (compreso prendere a martellate il padre) che lei/lui compie. È al tempo stesso il suo lato oscuro e la cosa che la fa sopravvivere all’esperienza del manicomio e degli psicofarmaci.
Sei stata attaccata dalla lesbiche più “ortodosse” per le tue scelte nella vita privata e dai gay che hai invitato a non conformarsi ai modelli eterosessuali, mentre matrimonio e adozione sono in cima alle rivendicazioni delle persone glbt in Europa.
Trovo incredibile che i paesi più omofobi siano anche quelli più religiosi, dove la tolleranza e la carità dovrebbero essere la norma invece sono quelli più intolleranti e pieni di odio. Dove invece si affermano valori laici, gay, neri e donne stanno meglio e c’è da meravigliarsi che tanti di noi seguano ancora i precetti della religione. A me piace stare con un uomo e avere figli, perché sono lesbica ma anche etero: ci si deve interrogare su lesbismo e omosessualità così come sull’eterosessualità. Le due strutture sono assai simili: perché dobbiamo litigare tra noi e non convivere, travestiti e transgender compresi? Comunque Colin e io non siamo sposati: in Inghilterra ormai si sposano solo le coppie gay…