Anelli di fumo (Transeuropa, 14,90 euro) è il nuovo romanzo di Sciltian Gastaldi, dedicato alla generazione dei nati nei primi anni Settanta, quella “cresciuta con i primi cartoni animati giapponesi trasmessi in Italia”, quella “dei primi telefilm americani”.
Ivan è un non-più-ragazzo romano di buona famiglia de sinistra, con un fratello neofascista latitante in Sud America e una fidanzata di lunghissima data, Valentina.
Fa l’assistente universitario, o meglio lo schiavo non pagato di un barone che tarda a lasciar libero il posto.
Anche Valentina non se la cava meglio: due lauree e un master, ma rastrella cinquecento euro al mese facendo una decina di lavori diversi. Cristian invece è un “buho” toscanaccio trapiantato in Lombardia.
Vive a Milano, naturalmente a metà tra Porta Venezia e Loreto (la zona frocio-chic della città), lavora per un’importante boutique d’alta moda a Malpensa e ha una solida compagnia di amici buhi coi quali parla di altri buhi, spesso fradici, vere o finte sgualdrine senza arte né parte, nelle serate della Milano buha. Ed è anche il cugino di Valentina.
La trama milanese e quella romana progressivamente si intrecciano, fino a un fatidico otto dicembre in cui più di un nodo viene al pettine e sembra di stare nella scena madre di una commedia del miglior Monicelli.
Nel solco del più onesto neorealismo rosa, l’aspetto generazionale fa da sobria scenografia e le pagine risultano godibili anche a chi quarantenne non è ancora o non è più.
Gastaldi compila un vademecum di vizi e virtù dell’Italia contemporanea in un romanzo davvero corale.
C’è spazio per tutte le piaghe che ci affliggono, da quelle più evidenti (i lavori creativi retribuiti con la promessa di visibilità anziché con uno stipendio, per esempio) a quelle un po’ più invisibili all’occhio medio (gli eterocuriosi coi calzini bianchi di spugna, gli effetti di Sex and the City sulle relazioni interpersonali e così via).
Tutto, anche le cose più dolorose, succede senza particolari piagnistei o recriminazioni trite… anzi, a conferma del tono pop e leggero del romanzo, ogni capitolo è introdotto dalla citazione in epigrafe di qualche verso delle sigle dei cartoni animati anni Ottanta, esatte in modo quasi inquietante nel descrivere situazioni gaie o meno gaie del 2015.
E se il nido di Heidi non è più sui monti alpini ma agli antipodi, su una bella isola sperduta nell’Oceano Pacifico, forse ci abbiamo anche guadagnato.