Come un’araba fenice la più famosa destinazione estiva gay italiana degli ultimi dieci anni risorge dalle sue ceneri. Platinette, osservatrice d’eccezione dei nostri costumi, ci racconta un fine settimana molto particolare.

(prima pubblicazione Pride maggio 2015)

 

È una distribuzione a macchia di “leoparda” quella che, nell’estate ormai finita, ha visto la gay people italiana dislocata in alcune località “chiave” con Gallipoli in testa, Riccione come da sempre e, con una lenta ma decisa voglia di tornare a essere un importante punto di riferimento, Torre del Lago dove, Puccini a parte, negli anni scorsi c’è stato un vero e proprio boom di turismo LGBT. Questo grazie a un’inanellata serie di stagioni a base di “gay friendly” da parte delle amministrazioni municipali, la presenza di innumerevoli locali sul lungomare, tanto da far pensare che in Italia fosse nata una nuova Sitges, località spagnola nota in tutto il mondo per l’imprinting dichiaratamente gay della spiagge e la decisa accettazione delle autorità e della popolazione locale, che hanno intuito il business e lo hanno costantemente sostenuto fino a farla diventare una località di riferimento per la popolazione gay che vi arriva da tutto il mondo.

Poi però qualcosa negli ultimi anni si era rotto: locali chiusi, controlli frequenti per alcuni esercizi non in “regola”, una lotta intestina tra chi gestiva questo o l’altro ritrovo, lo “sbarco” di un corollario di attività illecite (spaccio, prostituzione…), spiagge e litorali molto disinvolti rispetto ai canoni più tradizionali, e l’incapacità di far fronte a quella che è stata a suo tempo una vera e propria invasione. La sensazione di fondo, per chi come me l’ha vissuta da ospite nell’intrattenimento, è che, fiutato l’affare, coloro che gestivano le varie situazioni più che costruire un sodalizio e stabilizzare un successo per certi versi davvero clamoroso, abbiano pensato a far cassa singolarmente, senza “condividere” un territorio sul quale mettere a regime un sistema per certi versi rivoluzionario.

Eppure, appena trascorso il Ferragosto 2015, qualcosa è successo e le “acque” hanno ripreso a muoversi, anche se la visione diurna del litorale è desolante: ristoranti chiusi, fabbricati andati letteralmente in fumo, uno stato di abbandono e degrado tanto da sembrare poco recuperabile, ai quali fanno da controcanto deliziosi ma sparuti ristoranti ancora aperti e, incrollabile, il Mamamia, l’ombelico del divertimento di Torre, forte di una volontà di non cedere che fa onore a chi lo gestisce, in cui protagonista assoluta insieme alla struttura è la strada con una numerosa e assortita presenza di “viandanti” e un perenne clima di divertimento puro. In questo scenario alcune figure di provata capacità mettono a disposizione mestiere, abilità e talento, non disgiunti da un abbondante pizzico di “follia”. Quella che abita per esempio La Wanda Gastrica, drag, conduttrice, non certo una “strafiga” ma irresistibile nella battuta pronta e vero e proprio carburante per dar gas ai party. Perfetta quanto anomala padrona di casa quando, come in questa annata, sono tornati ospiti e manifestazioni di un certo rilievo.

Lo affermo perché l’ho vissuto sulla mia pelle, sia nel periodo “d’oro” di qualche anno fa (con fenomenali Mardi Gras estivi con migliaia di presenze) che con la timida ma decisa ripresa di questa stagione in cui, ad esempio e per la prima volta, è comparsa a Torre del Lago Bianca Atzei, cantante reduce dal Festival di Sanremo. Una voce dal timbro particolarmente intenso, una presenza che via via s’è fatta sempre più forte e consapevole, non priva di una visibile sensualità e di una personalità ancora non del tutto rivelata, ma che sembra già votata a diventare icona gay, destino che l’accomunerebbe a una manciata di altre star della musica (da Patty Pravo a Loredana Bertè, da Ambra Angiolini ad Amanda Lear, dalla Rettore a Giuni Russo) in grado di mettere d’accordo il pubblico generalista e la gay people.

Su un piccolo palchetto sulla strada e con un robusto impianto d’amplificazione questa piccola donnina, vestita dalle trasparenze dell’abito di Antonio Marras, sardo come lei, con la stessa mise vista a Sanremo, ha proposto e imposto uno “stile”, complice un buon repertorio che le permette di entrare in contatto “empatico” con un pubblico che ha fame di icone di riferimento a cui consegnare il “patentino” di fascinosa, che come ben sappiamo si consegna a chi possiede una forte visibilità non ordinaria sulla quale, necessariamente e come basamento, deve esserci un talento vero. Nessun proclama, nessuna esagerazione: Bianca canta di sentimenti, di amicizie, ma ha grinta vera, sulla quale s’innesta la sua “ingenuità” non ancora toccata dal mestiere e di conseguenza ancora più piacevole.

Sono bastate 24 ore dopo il live di Bianca e la sera successiva è andata in scena la serata “beauty fashion” con “Il gay più bello d’Italia”, che di fatto ha sostituito il marchio “Mister Gay” (chi ne detiene la proprietà chiede oboli per poterlo usare ma di fatto il risultato è poi lo stesso…), in cui una dozzina di ragazzi di età diverse (tra il post-adolescenziale e il quasi trentenne) si sono contesi fascia e titolo a suon di voti con acconcia giuria. Una smilza passerella in mezzo alla folla, la Wanda a dirigere il traffico, qualche cenno a “diritti e doveri” del popolo LGBT e mille occhi puntati sui femori, sui bicipiti e sulle facce dei concorrenti, alcuni timidissimi, un paio sfacciati come pochi, non un vero e proprio campionario delle tipologie ma un sicuro specchio, al di là degli orientamenti sessuali, degli stili possibili. Depilazione pressoché totale per la stragrande maggioranza di loro, con barbe folte e dai tagli meno usuali a far da “contropelo”, ragazzi che alla domanda “perché hai partecipato” hanno risposto chi con un vago “per avere nuovi stimoli…” fino a un più chiaro “spero mi serva a essere più sicuro di me senza imbarazzi”, per approdare a un chiarificante “voglio visibilità, mi può essere utile”.

Sull’utilità ne parliamo poi l’anno prossimo, o meglio su ciò che può succedere dopo una proclamazione simile ne ho parlato a lungo col vincitore dello scorso anno Arziom, un ragazzo bielorusso adottato da una famiglia pugliese dopo il disastro di Chernobyl, naturalizzato italiano, che proprio sulla sua storia e il suo percorso di “figlio della diossina” vuole scrivere una storia e cerca un editore ancor prima di avere buttato giù almeno un capitolo della storia stessa. Con i soliti pregiudizi e vedendo il male anche laddove non c’è, faccio fatica a mettere insieme i bicipiti tattoo con le ambizioni letterarie, così come per Lello, il vincitore di quest’anno, 20 anni, che un libro l’ha già finito ed è già pronto per il successivo, e mentre te lo dice gli guardi quelle sopracciglia ad ala di gabbiano, quella cura del dettaglio estetico che di sicuro un male non è, anzi, ma che risulta, almeno alla mia morale da vera provinciale molto agée, lievemente distonica quando lo senti dire, illuminato nello sguardo: “Ringrazio il destino che mi ha dato questo dono della scrittura, sarebbe un peccato non utilizzarlo…”. Automaticamente ti sovviene che ha 20 anni, età in cui tutto è permesso dire o pensare…

È una stagione di cambiamenti quella di una spiaggia, di una pineta dove ciò che un tempo si chiamava “trasgressione” è quasi una regola di comportamento. Eppure questa Torre del Lago, con il suo appeal sbiadito, può rinascere, può farcela. C’è un manager, Christian, che la SLA ha inchiodato su una sedia a rotelle, che non molla, che eroicamente combatte la malattia e lavora come fosse perfettamente sano e credo sia lui l’entità vera a capo di questa banda di ragazzi e ragazze, alcuni nemmeno più tanto giovani. Lui come simbolo di un impegno a non mollare in nessun senso, anche quando tutto sembra non potere avere un futuro. Sarebbe un peccato lasciare questi 300 metri di locali e ritrovi al disfacimento e all’indifferenza. Più impegnativo rimboccarsi le maniche e dare una svolta. Christian è una risorsa con Livia, che gestisce un bel localino a 50 metri dal Mamamia. Pensando ad alta voce dico: “Ma tu pensa se ad esempio si portasse qui la ‘versione estiva’ del Film Festival Gay di Torino, se con la rete si provassero gemellaggi con altre località similari nel mondo e, perché no, ‘provocare’ ogni anno con una versione gay oriented delle opere di Puccini. Non per essere sempre ‘contro’, anzi proprio per l’esatto contrario, quel tirar dentro tipologie di clienti differenti tra loro, famiglie tradizionali comprese che, è ovvio, mica si faranno poi la notte sbracata in disco. Ma se per una volta e in un orario decente ci sono in scena ex concorrenti di Amici per una serata di ballo (magari inviti Anbeta come star della serata, no?) di sicuro troverebbero invitante l’appuntamento…”

Ma sembra come spenta la fiamma della creatività, quel dialogare con le istituzioni, come se non ci fosse più un territorio in comune da gestire tra divertimento, follia, esagerazione quanto basta e un filo di “spessore” perché non tutti mangiamo la stessa minestra e men che meno tutti i giorni, a pranzo e cena. ”Ma il mio mistero è chiuso dentro me…” , cito dalla Turandot ma questa è tutta un’altra musica.