Non sapendo come si concluderà in Senato la discussione del DDL Cirinnà sulle unioni civili, dove i mandatari politici dei vescovi presenti in gran numero nel PD faranno di tutto per smantellare l’impianto della stepchild adoption, possiamo intanto registrare in che modo gli integralisti si stanno muovendo fuori da Palazzo Madama.
Oltre all’annuncio di un nuovo Family day previsto a Roma per il 30 gennaio e mentre la discussione tra favorevoli e contrari impazza su giornali, radio e TV, ecco riproporsi la questione della libertà di parola.
I clerico-fascisti sembrano infatti non trascurare le piazze virtuali, sulle quali hanno dispiegato una potenza di fuoco di tutto rispetto, almeno a giudicare dall’aumento esponenziale degli attacchi censori subiti negli ultimi mesi da siti, blog e pagine dedicate sui social network alle questioni gay.
Gli ineffabili difensori della libertà di pensiero (a senso unico) si dimostrano molto attenti a quel che scrive, per esempio, il blog di informazione Gayburg, che alla fine di dicembre si è visto filtrare come contenuto “discutibile” dal motore di ricerca Google, impedendo inoltre che si potessero linkare i suoi articoli su Facebook.
Marco (che preferisce rimanere anonimo per questioni di sicurezza), redattore unico del blog, non sa come sia potuto avvenire questo blocco: “Esiste un form che permette di segnalare i blog che violano il regolamento, ma non capisco come Gayburg sia potuto rientrare in quella categoria. Su un profilo Facebook de La Manif Pour Tous c’era un sedicente “ex gay” che si diceva certo che il blocco dipendesse da segnalazioni per pornografia. Negli ultimi mesi ho ricevuto intimidazioni e minacce di morte, iniziate con l’inizio delle campagne d’odio portate avanti dall’integralismo religioso. Non avevo sentore che potesse accadere, però uno dei motivi per cui ho scelto di rimanere sui server di Google e di non acquistare uno spazio privato era perché ero convinto che la loro filosofia aziendale fosse una garanzia contro gli attacchi hacker ed eventuali segnalazioni basate sull’omofobia. Spero di non essermi sbagliato”.
Sulle cause di questo attacco mirato possiamo ipotizzare che Adinolfi non abbia gradito che Gayburg tirasse in ballo la figlia (dopo aver fatto dei figli altrui la fonte del suo reddito degli ultimi anni); in generale, il blog è uno dei pochi medium lgbt che si occupa di sbugiardare giorno per giorno le spericolate tesi anti-gay degli integralisti cattolici.
Marco ricorda che “due anni fa, in concomitanza con la discussione del ddl per il contrasto all’omofobia, un’altra segnalazione aveva portato alla sospensione della pubblicità per quasi un anno. E Gayburg viene citato per ben due volte in tutti i comizi propagandistici dell’avvocato Gianfranco Amato. Inoltre, lo scorso novembre l’associazione ProVita Onlus ha chiesto alla Procura di Roma l’oscuramento immediato dell’intero sito”.
Dopo due settimane, all’inizio di gennaio, il blocco è stato rimosso. “Il danno maggiore ha riguardato la visibilità dei contenuti”, commenta Marco. “Anche le visite sono calate e ho perso la pubblicità. Fortunatamente non scrivo per guadagnarci, quindi mi è interessato poco. Se si fosse trattato di una realtà commerciale sarei stato costretto a chiudere”.
Verso la fine di dicembre anche la pagina Facebook di Progetto Gionata è stata eliminata, finché la notte dell’11 gennaio un attacco hacker ha cancellato del tutto il loro sito Gionata.org, rischiando di mandare in fumo l’ambizioso “progetto online che riunisce volontari che dal 2007 cercano di far riflettere sul tema fede e omosessualità”, come spiega uno dei volontari, Innocenzo Pontillo, il quale tiene a precisare che la loro sparizione non è dovuta a censura ma al nuovo regolamento del social network: “Le associazioni devono trasformare in ‘pagine’ il loro profilo singolo, altrimenti sono a rischio cancellazione. È bastato che ci fossero segnalazioni di qualche persona a cui non siamo molto simpatici perché venissimo chiusi. L’errore nostro è di non esserci informati per tempo”. L’assenza da Facebook ha comportato per Progetto Gionata “la perdita di cinque anni di materiali”, mentre il ripristino del sito dopo un paio di giorni ha permesso di recuperare quasi tutti i contenuti. Al di là dell’amarezza per queste vili aggressioni anonime, Pontillo osserva che “incidenti come questi accadono perché le realtà lgbt non hanno redazioni web ma solo volontari. Se i tentativi di togliere voce ai gay aumentano, questo non va visto solo in maniera negativa: prima non c’era nessuna vera discussione fuori dal circuito gay; oggi che di questi temi si parla nella società, è normale che ci sia chi non vuole ascoltarli”.
Nessuna voce, ma la sua sola presenza silenziosa vestito da “nazista dell’Illinois” a leggere il Mein Kampf durante un incontro bergamasco delle Sentinelle in Piedi, il 5 ottobre 2014, ha scatenato la foga censoria del “popolo formato da tanti io che desiderano seguire la verità, senza imporla a nessuno”, come recita la loro presentazione ufficiale: Giampietro Belotti è stato caricato su una volante dalla Digos locale, portato in questura e interrogato. Dopo più di un anno di traversie legali, il fascicolo aperto per sospetta apologia di fascismo sembra essere stato finalmente archiviato.
Trasformato all’istante in un’icona dei diritti lgbt, Belotti ha conquistato numerosi fan dalla sua pagina di Facebook. Anzi, le pagine, visto che a più riprese gli amministratori del social gliele hanno cassate. “Sospensioni: numero indefinito; idem per la mia pagina privata. Quella pubblica, invece, mi è stata cancellata definitivamente un paio di volte, più altre in cui la decisione è stata revocata. Non ricevo nessun preavviso: di solito succede che faccio per aprire Facebook dal cellulare e risulto sloggato dalla pagina, poi un avviso informale mi annuncia che è stata sospesa o eliminata per ‘ripetute violazioni agli standard’. In soldoni, chiunque è liberissimo di commentare in pubblico offendendo, mentre indicare l’autore di certi reati non va bene”.
Le schermaglie di cui Belotti è stato oggetto sono trascese più volte anche in minacce di morte; l’immagine di una bottiglia di olio di ricino che gli è stata inviata via Facebook “fa capire chi sono queste Sentinelle e quali i loro ideali di riferimento. Credo che l’astio nei miei confronti sia dovuto al fatto che il mio pubblico di riferimento non siano solo le persone lgbt, anzi: sotto molti aspetti i contenuti della mia pagina sono più rivolti a tutti quegli etero come il sottoscritto che hanno capito come non serva appartenere a una determinata categoria sociale per avere a cuore i suoi diritti”.
Preoccupati per tutti questi casi, (e molti altri che hanno coinvolto per esempio il sito goliardico Pettorali Famosi, la pagina FB satirica Porella Cuccarini, il profilo Twitter del nostro collaboratore Dario Accolla), abbiamo contattato gli amministratori di Facebook per verificare se siamo davvero di fronte a un incremento anomalo dell’intolleranza omofoba sulle piattaforme social.
Laura Bononcini, responsabile Italia delle policy dell’azienda di Zuckerberg, ci comunica che “il volume delle segnalazioni non sono fattori che prendiamo in considerazione. Ognuna viene rivista singolarmente da uno degli esperti del nostro team e trattata con attenzione, secondo un preciso ordine di priorità, in conformità con gli standard della nostra comunità. Il nostro team ‘Community Operations’ è impegnato 24 ore al giorno nell’analisi delle segnalazioni che ci arrivano e dietro ognuna di queste c’è la verifica di un esperto specializzato su una delle aree tematiche che l’utente seleziona al momento dell’invio. Per rendere questo procedimento il più trasparente possibile, Facebook ha creato lo strumento del ‘riepilogo segnalazioni’ per aiutare gli utenti a rimanere aggiornati sullo status della propria segnalazione; inoltre, gli utenti segnalati vengono sempre avvisati di ogni passaggio”. Sulla presenza di pagine violente e omofobiche, Bononcini ribatte che sul social network “non sono assolutamente tollerati contenuti che incitano all’odio, compresi quelli che attaccano direttamente una persona o un gruppo in base al sesso e all’orientamento sessuale, né tantomeno sono tollerati atti di bullismo o intimidazioni. Le organizzazioni e le persone impegnate a promuovere l’odio contro gruppi protetti non possono avere una presenza sul sito. Come per tutti i nostri standard, confidiamo nelle segnalazioni della nostra comunità per individuare questi contenuti. Per questi motivi, aggiorniamo periodicamente le nostre policy per adeguare la piattaforma alle normative vigenti e alle nuove esigenze delle persone, ascoltando le indicazioni delle associazioni e degli espert”».
Con Cristopher Cepernich, sociologo dei media e dei fenomeni politici al dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università degli Studi di Torino, cerchiamo infine di capire in quale misura è corretta la percezione che abbiamo di questa ondata di omofobia via web, riportando all’uso comune le posizioni ufficiali di Facebook.
“Mi sembra chiaro che il numero delle segnalazioni non fa la differenza: non è che chi grida più forte ha ragione. Quando accettiamo di metterci su quella piattaforma dobbiamo sapere però che stiamo delegando qualcuno, che ha obiettivi fondamentalmente economici, a gestire la nostra immagine e i nostri contenuti, quindi parliamo di un gioco privato che avviene all’interno di uno spazio privato. E il senso comune ci frega, perché siamo abituati a vedere i mass media come uno spazio pubblico.
Negli anni tutti i social sono molto cambiati, soprattutto Facebook è diventato una sorta di grande palcoscenico su cui abbiamo la tendenza a rappresentarci. A me non stupisce che lì si trovi anche il fenomeno della chiacchiera d’odio: nella realtà esiste e quindi la ritroveremo anche su Facebook. Per certi aspetti uno potrebbe anche spararla grossa per farsi togliere apposta un contenuto e gridare al complotto: se conosci i suoi meccanismi puoi usare le regole del gioco dei social in modo strategico, a tuo vantaggio. Detto questo, non voglio che sembri una difesa dello hate speech e neppure una difesa d’ufficio. Dico solo che dobbiamo tener conto del contesto, altrimenti si legittima una lettura del genere: se tolgono i miei contributi stanno facendo qualcosa di sbagliato; se tolgono quelli di Salvini allora va bene.
Facebook esprime esplicitamente alcuni criteri condivisibili ma in forma molto generale, per cui non abbiamo i parametri per capire in che modo quella linea di principio generica venga applicata al caso concreto.
Se è vero che c’è una tendenza a lasciar circolare discorsi discriminatori, non vorrei che ci fosse una distorsione della prospettiva dalla quale si guarda il problema. Io direi che siccome leggi molti profili legati ai temi lgbt, vedi succedere tutta una serie di cose; nel frattempo però non ne vedi succedere tutta un’altra serie da un’altra parte, dove non guardi. Per non avere un’impressione sbagliata bisognerebbe lavorare sui dati effettivi.
La tendenza all’opporre tesi diverse sta nella natura dei social, dove il dialogo è reso particolarmente difficile. Ci vuole una grossa cultura del digitale per trasformare i social in luogo di discussione reale, altrimenti si polarizzano le posizioni. Il social network tira verso un appiattimento dei discorsi: non lo fa perché è cattivo, ma perché la sua organizzazione porta a un meccanismo simile.
Il social è molto meno di un medium: se parli di tv parli di un medium, mentre nel concreto Facebook e Twitter non esistono, esistiamo noi che li usiamo. Non a caso ci accorgiamo di Fb quando arriva e toglie un contenuto che è mio, quindi questo ci spiazza.
Potrebbe essere molto interessante ribaltare la questione degli attacchi degli omofobi per studiarla in modo empirico, ossia rispondere agli attacchi con altri attacchi di senso contrario, per agire sullo stesso criterio col quale Fb elimina alcuni contenuti piuttosto che altri.
Secondo me non è inutile segnalare a Facebook le criticità, però non basta. Sembrerà ingenuo, però credo che coinvolgere l’azienda in incontri e dibattiti sulla questione lgbt sia importantissimo, senza immaginarlo come un un antagonista ma facendo direttamente le domande che ci stanno a cuore. Laura Bononcini, per esempio, faccia a faccia sa spiegarsi con molta meno diplomazia di quanto appaia nelle risposte ufficiali.