«David Mixner ha fatto una differenza straordinaria per moltissime vite ed è un’ispirazione non solo per l’America ma per tutto il mondo», l’ha affermato Gordon Brown, già primo ministro inglese. E’ davvero arduo sintetizzare la biografia di un simile personaggio da cinquant’anni in prima linea prima nella battaglia per i diritti civili degli afroamericani, poi contro la guerra in Vietnam per diventare infine pioniere del movimento lgbt e nel frattempo prestare la sua consulenza a ben sei Presidenti degli Stati Uniti. Nasce nel 1946 a Elmer nel New Jersey da una famiglia della classe operaria, ancora adolescente partecipa alle campagne di Martin Luther King con relativi picchetti e raccolte di fondi e a 20 anni organizza la prima delle sue innumerevoli proteste. All’università dell’Arizona conosce Kit e sboccia un grande amore che durerà solo un anno perché il ragazzo morirà in un incidente d’auto; in seguito decide di iscriversi a quella del Maryland, più vicina a Washington, per essere accanto ai pacifisti schierati contro l’impegno militare in Estremo Oriente. Al loro fianco nel ’69 porta a compimento il Vietnam Moratorium che convoglia in piazza milioni di manifestanti in tutta la nazione.
Il suo coming out coincide nel ’76 con la fondazione del MECLA (Municipal Elections Committee of Los Angeles), il primo comitato di azione politica gay in America, mentre lavora per il sindaco di L.A., Tom Bradley. Si batte, con l’aiuto di Harvey Milk, per abolire in California la Proposition 6, una norma, fagocitata dall’oltranzista cattolica Anita Bryant e approvata in altri stati, che avrebbe impedito a gay e lesbiche di insegnare nelle scuole. In quegli anni l’omosessualità era considerata una malattia e per “guarirla” a molti veniva praticata la lobotomia che rendeva simili a vegetali per tutta la vita. Convince il governatore Ronald Reagan a osteggiarla e infatti viene battuta con un margine di milioni di voti. Nel frattempo con il suo compagno Peter Scott apre una società di consulenza e sia Bill Clinton che il senatore Ted Kennedy, amico da anni, chiedono la sua collaborazione.
S’impegna per il disarmo nucleare ma la marcia organizzata a L.A. nell’86 si rivela un insuccesso. Siamo nel pieno dell’epidemia di Aids e la gente è terrorizzata: tre anni dopo muore anche Scott lasciandolo nella disperazione. Reagisce fondando un’associazione per combattere la malattia, dimostratasi più incisiva di quella federale. Nel ’93 con il suo sostegno Clinton viene eletto: gli ha infatti promesso di aumentare i fondi per i malati, la prevenzione e la ricerca, oltre a metter fine al bando sulla presenza di gay e lesbiche nell’esercito. Ma se la prima viene mantenuta, la seconda viene disattesa con il pronunciamento del celebre «Don’t ask, don’t tell.» Mixner è infuriato e attacca il presidente prima in un evento ufficiale e poi in tv: immediatamente viene isolato da tutto l’establishment democratico e la sua società va in crisi. David decide allora di andare a protestare davanti alla Casa Bianca e viene arrestato. Clinton, che lo aveva definito «un eroe», non farà mai marcia indietro durante i suoi due mandati. Le delusioni vengono compensate dai riconoscimenti: nel 2005 la biblioteca dell’Università di Yale inaugura la D. M. Collection, dove vengono raccolti libri, documenti e film che testimoniano il suo impegno. Nel 2008 Gordon Brown lo invita a Downing St. e l’università di Oxford lo ospita per una serie di conferenze. L’anno dopo la marcia che organizza a Washington a favore del matrimonio ugualitario raduna più di 250.000 partecipanti e il suo Gay and Lesbian Victory Fund che raccoglie fondi a favore dei candidati lgbt e associazioni benefiche dal 1991 ha messo nel carniere oltre 30 milioni di dollari.
L’attività politica non gli ha impedito di cimentarsi in quella letteraria: nel ’96 ha scritto l’autobiografia Stranger Among Friends, nel 2000 Brave Journeys – Profiles in Glbt Courage e nel 2011 il libro di memorie At Home with Myself, tutti best sellers e apprezzati dalla critica.
Il desiderio di sperimentare anche il mezzo teatrale lo porta all’ideazione dell’one man show From the Front Porch (2011) che dedica ai giovani lgbt senza una casa; tre anni dopo fa seguito Oh Hell No! e nel 2014 Jacob’s Ladder, commedia scritta con Dennis Bailey e ambientata negli anni della seconda guerra mondiale, che racconta della scoperta fatta da un funzionario ebreo alla Casa Bianca dell’intenzione dei nazisti di bombardare i campi di concentramento.
Per farsi conoscere dal pubblico italiano David ha scelto proprio Oh Hell No!, nato a New York come evento unico per beneficenza ma che, dietro pressanti richieste, è stato poi replicato a L.A., San Francisco, Atlanta e Chicago. Solo in palcoscenico, racconta semplicemente la sua vita: le sue battaglie, quelle vinte e quelle perse, il coming out, i 300 amici morti di Aids, i 20 anni in cui ha vissuto a Hollywood, i presidenti con cui ha collaborato e il suo impegno nell’accesa campagna elettorale in corso. Organizzato dall’Associazione Parks – Liberi e Uguali, lo spettacolo, in esclusiva per l’Italia, sarà al teatro Elfo Puccini di Milano il 18 aprile (www.elfo.org). Ospite dello show è sempre un coro locale che si esibisce in sintonia con il pensiero di Mixner a proposito di inclusione e rispetto per le differenze: la produzione ha scelto il Checcoro, nato 4 anni fa durante le celebrazioni natalizie e primo coro lgbt milanese, invitato il prossimo giugno a Parigi in occasione dell’annuale festa della musica.
Giunto a Milano da New York dove vive nel quartiere di Hell’s Kitchen, incontriamo David a Palazzo Marino, in occasione della conferenza stampa alla presenza del sindaco Pisapia, Igor Suran di Parks e Elio De Capitani dell’Elfo.
Come e perché ha deciso di scegliere il palcoscenico per far conoscer al pubblico la sua vita e tutti gli incredibili avvenimenti da lei attraversati e testimoniati in 50 anni di impegno costante?
Sono cresciuto in una famiglia che pratica la vecchia tradizione dello story telling tipica degli stati del sud come forma di intrattenimento. Il teatro mi pareva un luogo appropriato per condividere la storia significativa della lotta per la conquista della libertà da parte delle persone lgbt americane. Inoltre molti miei amici che fanno parte dell’ambiente artistico volevano contribuire e esserne partecipi. E’ un’esperienza davvero straordinaria e gratificante.
Quali sono le principali differenze tra il suo precedente one man show, From the Front Porch, e Oh Hell No! che vedremo tra poco? Come sono stati accolti dal pubblico più trasversale e dalla comunità lgbt?
Il primo trattava soprattutto il crescere con la specificità di maschio omosessuale e il mio lavoro a favore dei diritti civili e dei movimenti pacifisti. Il secondo si focalizza sui miei 36 anni di attivismo nella comunità lgbt e con quest’ultimo abbiamo sempre fatto il tutto esaurito in ogni replica a Broadway, Chicago. Los Angeles e Atlanta. Il pubblico è sempre stato molto misto e l’ha acclamato ma anche le recensioni della stampa tradizionalista sono state più che lusinghiere.
Che tipo di feedback ha notato da parte degli spettatori più giovani che possono essere ancora ignari circa alcune pietre miliari del movimento lgbt?
Dato che l’epidemia di Aids ha colpito così tanti gay, siamo una comunità che ha perduto la maggior parte dei testimoni della sua storia, ma proprio per questo tantissimi dei nostri giovani hanno memoria e conoscenza del coraggio, nobiltà d’animo e determinazione da parte di coloro che, pur malati e con la consapevolezza di morire, lottavano per i diritti civili. E’ una storia eroica che dà ai giovani d’oggi rinnovato orgoglio e autostima nel sentirsi una persona lgbt.
Ha detto di aver perso 300 amici e aver recitato 90 orazioni funebri: questa esperienza devastante è stata almeno utile per rinforzare la consapevolezza e l’impegno all’interno della comunità gay?
Certamente, non solo attraverso il dramma dell’Aids ma anche come conseguenza dei tanti torti e discriminazioni subite negli anni. Anche nei momenti più bui, quando morivamo per indifferenza o ci mettevano in prigione, non abbiamo mai odiato nessuno e lottato solo con la gioia e l’amore.
Martin Luther King jr., Ronald Reagan, Bill Clinton, il presidente Obama hanno ricoperto ruoli importanti nel suo passato e nel suo presente: come li descriverebbe non tanto in qualità di politici ma piuttosto come esseri umani o personaggi nella commedia della sua vita?
Il dr. King è uno dei miei grandi eroi. Ho lavorato con lui nel sud dell’America. Lo ricordo uomo con dei principi tanto potenti che fisicamente riempiva una stanza appena ci metteva piede. Reagan era una delle persone più sollecite e cortesi che io abbia incontrato ma politicamente si rivelò un incubo. Pensate che pronunciò la parola Aids solo nell’86, sei anni dopo essere arrivato alla Casa Bianca. Bill Clinton incanta anche i serpenti e col suo fascino arriva a farti fare quello che vuole. Sono più vecchio di lui solo di 3 giorni ma mi chiamava Big Daddy. E’ sempre stato bravo a diventare amico di chi cambia le cose piuttosto che cambiarle lui stesso. Quando mi chiese di appoggiare l’orribile legge del Don’t ask, don’t tell, risposi con la frase che è diventata poi il titolo dello spettacolo: «Maledizione, no!» Si è poi molto risentito quando mi sono schierato per Obama e non per la moglie alle presidenziali. Obama è il più grande amico che la comunità glbt abbia mai avuto e uno dei più grandi presidenti nella storia del nostro paese: incarna l’idea del pugno di ferro in un guanto di velluto.
Lei lo ha appoggiato come ora sta appoggiando Sanders alle primarie: se invece vincerà la Clinton, pensa che politicamente agirà per il bene della comunità LGBT?
Sia il senatore Sanders che la senatrice Clinton sarebbero per noi ottimi presidenti. I repubblicani si sono così spostati verso l’estrema destra che per la comunità americana se vincessero sarebbe un totale e colossale disastro. Trump ha già promesso di cancellare il matrimonio gay e ci percepisce come una minaccia alla società.
Di certo lei sa che l’Italia è solo agli inizi del suo cammino verso i diritti civili, come si evince dal disegno di legge presentato in parlamento: quali sono le sue sensazioni e previsioni per il nostro futuro?
Tutti noi che veniamo dagli Stati Uniti per questo show sono onorati di poter supportare la vostra eroica lotta per la conquista della libertà lgbt in Italia. Vi siete guadagnati l’attenzione da parte del mondo intero. Ci avete indotto a fare di più nell’ambito della nostra lotta. Di sicuro alla fine vincerete, perché nessun governo né religione possono contenere la marea che conduce alla libertà.