“Comunità”, stando al vocabolario, è un insieme di persone unite tra di loro da rapporti sociali, culturali, linguistici e morali, vincoli organizzativi, interessi e consuetudini comuni. Con questa definizione mi è difficile inquadrare l’esistenza di una comunità gay italiana.
Certo molti di noi condividono il percorso di accettazione che ci porta alla visibilità con il coming out, ma altrettanti hanno in comune solo l’oscurità e le nebbie dell’invisibilità.
Per abbracciare una socialità gay scegliamo a centinaia, senza patemi d’animo, di frequentare locali gay o friendly e viviamo il rutilante mondo delle notti in discoteche, cruising o saune. Insomma siamo quelli che Mykonos è la nostra terra promessa. Tantissimi, al contrario storcono il naso a qualsiasi socializzazione arcobaleno e “non frequentano” quei locali lì: si dicono liberi, tutt’al più hanno amici etero e detestano il cosidétto ghetto. Siamo divisi persino sulle chat: c’è chi le usa come strumento quotidiano di incontro e conoscenza e chi sostiene di non averne alcun bisogno.
Su di una cultura condivisa proprio non ci siamo: sono riconoscibili interessi comuni nelle nostre chiacchiere, ma il cinema, la letteratura, il teatro e la musica ci emozionano in modo del tutto peculiare ed è impossibile individuare un qualche misero riferimento comune.
Forse sul linguaggio siamo un poco più vicini: “A o P?”, una domanda che genererebbe il silenzio catatonico di qualsiasi eterosessuale (a meno che non sia sgamato), nella nostra lingua tutta peculiare ha un significato certo e indubitabile. Non è così però per l’uso del femminile nelle chiacchiere tra noi ragazzi: crea moti di sdegno a moltissimi gay che rivendicano la loro fiera mascolinità finocchia.
Manco la morale è sempre quella. Adozioni sì, adozioni no? Alzare o abbassare l’età del consenso? Nudismo sì o nudismo no? Matrimonio gay, unioni civili o cancellazione del matrimonio tradizionale? Sesso in pubblico sì o no? Coppia aperta, spalancata o serrata? Che fare degli amori plurimi, della liberazione del corpo o dell’uso delle droghe? Facciamo outing ai froci omofobi o no? Legalizziamo la prostituzione e la pornografia? Sono tutte domande che non trovano tra di noi risposte condivise. Insomma, è sufficiente solo il desiderio per persone dello stesso sesso (che ci rende uguali), per essere una comunità?
Condividiamo discriminazione, omofobia, assenza di diritti e l’urgenza di raggiungere la piena uguaglianza. Tutto questo è molto più di quanto ci divide e dovrebbe farci riflettere sull’urgenza di fare attivamente il bene e gli interessi della nostra comunità. E di uscire da quell’individualismo che fa di noi stessi le sue prime vittime.