Frocio, mogliettina, donna di casa…. Il meglio, si fa per dire, del lemmario omofobico è da anni vomitato non da un destrorso o da un politico in salsa Le Pen ma da un cardinale. E non di certo da uno di quei porporati incartapecoriti che, vivendo all’ombra del Cupolone, aspettano senza troppa fretta l’arrivo di sorella morte (sempre che riescano a incontrarla in appartamenti così ampiamente dispersivi), ma dall’Eminentissimo Nicolás de Jesús López Rodríguez, Arcivescovo di Santo Domingo, Presidente della Conferenza episcopale dominicana e Primate d’America.
Pronunciate ora con toni concitati ora con sghignazzate compiaciute, tali ingiurie hanno dal 2103 un unico bersaglio: James Walter Brewster jr. Il porporato e l’intero episcopato isolano, infatti, non riescono proprio a mandare giù che a occupare il ruolo d’ambasciatore statunitense nella Repubblica Dominicana sia un gay dichiarato, coniugato con Bob Satawake e impegnato nella difesa dei diritti lgbt. López Rodríguez ha mostrato apertamente il suo disappunto fin dalla nomina di Wally Brewster, definendolo “frocio” (maricón) nel corso d’un’intervista del 27 giugno 2013. In quell’occasione, sollecitato a esprimere il suo parere sull’influenza aviaria, il presule rincarò la dose: “Dopo aver discusso di froci e lesbiche, parleremo ora dei polli”. Una battuta di pessimo gusto e gravemente offensiva, dal momento che nella Repubblica Dominicana i gay sono spregiativamente paragonati ai volatili.
Il cardinale, che da allora non ha perso occasione per irridere Brewster, è arrivato a un sarcasmo da bettola dopo le dichiarazioni dell’ambasciatore sull’endemica corruzione dello stato centramericano. Nel corso d’un’intervista, rilasciata al quotidiano dominicano Hoy il 1o dicembre 2015, López Rodríguez ha accusato il diplomatico d’ingerenza in questioni di politica nazionale e, in quanto frocio, di voler introdurre la frociaggine (maricóneria) in un paese a maggioranza cattolica. Quindi l’inaspettata conclusione: “Egli dovrebbe limitarsi alle faccende di casa, visto che è la moglie d’un uomo”. Le reazioni non si sono fatte attendere a partire dalla lettera aperta che Dick Durbin, senatore democratico dell’Illinois, ha indirizzato il 15 dicembre a papa Francesco nella speranza d’un richiamo. Alla missiva non è mai stata data finora risposta, perché non sarebbe secondo lo stylus curiae dare riscontro a lettere aperte.
Sorvolando sulla pretestuosa motivazione, i toni si sono nuovamente surriscaldati nel marzo scorso a due mesi, cioè, da quelle elezioni presidenziali, che vedranno correre tra i candidati proprio un congiunto del card. López Rodríguez. Il 15 marzo la Conferenza episcopale dominicana ha diramato una nota, in cui Brewster è accusato d’ingerenza politica, di colonizzazione ideologica del paese e di violazione tanto della sovranità nazionale quanto della Costituzione in ragione d’una capillare promozione dell’agenda lgbt. Come se non bastasse, il 17 marzo Victor Manuel Grimaldi Céspedes, ambasciatore della Repubblica Dominicana presso la Santa Sede, ha pensato bene d’inoltrare per via telematica il documento episcopale a vari colleghi operanti a Roma e d’allegare alla mail due foto col chiaro intento di screditare Wally Brewster. Sotto la prima immagine, che mostra l’ambasciatore statunitense in visita a una scuola dominicana, si legge: “L’ambasciatore USA e il suo sposo mentre fanno lezione in una classe”; la seconda (qui a fianco), che riprende un momento di relax in ambasciata, è invece accompagnata dalla didascalia: “Nella piscina dell’ambasciata col suo gruppo d’amici gay”.
Era prevedibile che l’ambasciata USA presso la Santa Sede protestasse, non solo per le posizioni irriguardose del cardinale primate ma anche per la nota episcopale e per il volgare colpo basso di Victor Manuel Grimaldi Céspedes. Le rimostranze continue dell’ambasciata statunitense presso la Santa Sede non sembrano però aver conseguito effetto alcuno.
E non certamente, diciamolo con chiarezza, per opposizione d’un Parolin o d’un Gallagher (rispettivamente segretario di Stato e segretario per i rapporti con gli stati della Santa Sede), ma del tanto esaltato amico dei gay. Da quel papa Francesco cioè, che è a conoscenza da mesi dell’ingerenza – questa sì, reale – dell’episcopato dominicano in questioni di rapporti diplomatici e dell’insostenibile situazione creata da López Rodríguez (e compagni) a danno di Wally Brewster. Quello stesso Bergoglio, cui è da attribuire pienamente il non gradimento di Stefanini – recentemente nominato all’Unesco – quale ambasciatore gay di Francia presso la Santa Sede. Della tanto conclamata misericordia le persone lgbt non sanno che farsene. Non così di quell’impegno a “evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione e particolarmente ogni forma di aggressione e violenza”, come recita l’esortazione postsinodale “Amoris laetitia”. Un documento, per capirsi, che reca la firma del papa, al quale non resta che dire: Querido Francisco, si estás vivo, dá una señal.