Complice un viaggio in Islanda abbiamo avuto la fortuna di visitare il museo fallologico di Reykjavík. In esposizione decine di peni e centinaia di oggetti che celebrano gli attributi maschili.
Tra scherzo sadico, scienza e gabinetto anatomico il Museo fallologico di Reykjavík è unico, e tra i più bizzarri al mondo. In esposizione la collezione di Sigurður Hjartarson, ex insegnante ed ex preside islandese, che ha raccolto fin qui oltre 280 falli appartenenti a tutte le specie di mammiferi presenti in Islanda, uomo compreso, più qualche pisello non autoctono. Le decine di organi fanno bella esposizione di sé, in vasetti di vetro ben allineati imbalsamati dalla formaldeide o essiccati appesi alle pareti come trofei di caccia. Non mancano numerosi cimeli e artefatti che celebrano il “pisello”, dai totem africani a tazze o oggetti fallici, c’è persino un telefono, e così via.
La raccolta è nata per caso (e per gioco) intorno agli anni Settanta, a partire da una frusta ricavata dal pene di un toro e si è arricchita, grazie alle donazioni di pescatori e cacciatori, di battacchi di balene, orsi polari, volpi, visoni. La collezione, dapprima esposta nella cittadina di Húsavík dal 2011, grazie a un cospicuo finanziamento del Governo islandese, ha trovato spazio proprio al centro della capitale dove il nuovo curatore del museo, Hjörtur Gísli Sigurðsson, ha dato il giusto valore e spazio a ogni membro. E i turisti, di cui un sessanta per cento donne, arrivano a migliaia ogni anno.
Tra i centimetri c’è davvero da perdere la testa, in una mostra permanente che ha un effetto straniante, bastano pochi passi nel museo per essere letteralmente circondati da piselli (eretti o meno) ma non si tratta di una gang bang. Il percorso museale è in bilico precario tra il laboratorio di una scienziato pazzo e l’istituzione museale di prestigio, tra interesse scientifico puro e mero appagamento di boccaccesche curiosità sessuali. Ovviamente di peni ce n’è per tutti i centimetri, da quelli XXL a quelli microscopici. Il più ragguardevole ovviamente è quello della balena e quello esposto è solo una sezione, 170 cm per circa 70 kilogrammi; l’organo intero avrebbe avuto una lunghezza di 5 metri. Tra i campioni degli small dick quello del criceto, che non supera i 2 millimetri… è la prova provata che che per quanto possiamo essere orgogliosi o meno di quanto ci ciondola tra le gambe, le dimensioni sono sempre relative.
Quanto alle forme, la natura ha dato il meglio di sé: non c’è n’è uno uguale all’altro. Ce ne sono con barbe, spine ispide e setole o biforcuti, come in alcuni marsupiali. Quello del maiale è a cavatappi, quello del toro è simile a una fune e l’elefante, del suo pene ragguardevole, usa solo l’ultima parte. A seconda della specie se eretti sono rigidissimi, come nell’uomo, o elastici, come in delfini e balene. Quanta bellezza.
Sigurður Hjartarson si è divertito persino a esplorare nelle mutande della vivace mitologia locale, tra elfi, folletti e troll, e, nella sezione folklore islandese, tra i pezzi più estrosi visibili, il pene di un uomo invisibile, in un vaso di vetro all’apparenza vuoto, quello della sirena maschio o il pallido pene di fantasma. In realtà si tratta di oggetti del tutto simili al pene umano, di pietra, legno o altro, ritrovati fortunosamente in natura. Ma chi può negare eventuali virilità mitologiche?
Il museo fallologico, tra scherzo è (pseudo) scienza, è comunque il posto perfetto per conoscere da vicino il pene e le sue gesta “erettive”, che ancora subiscono il pregiudizio della rappresentazione pubblica. Certo la visita ha aspetti macabri: tra i pezzi esposti ci sono anche due peni dell’Homo sapiens sapiens, quello di Pall Arason, un islandese che ha donato al museo i suoi attributi alla morte, a 95 anni, e di un sessantenne che non ha voluto rendere note le sue generalità. E, per non farci mancare nulla c’è anche il prepuzio di un quarantenne. Altri tre uomini hanno promesso di donare i gioielli di famiglia al museo quando moriranno: Peter Christmann, un tedesco; John Dower, un inglese; e Tom Mitchell, un americano, che ha inviato uno stampo in gesso del suo organo smisurato per riservare il suo spazio nel museo. Tutto questo è davvero necessario?
Lo decida il lettore, piace a chi scrive l’idea di un museo che racconta un attributo con il quale facciamo i conti tutti i giorni, da millenni. Ovviamente non ci sorprende la fregola collezionistica di membri. È un fenomeno che, chi più chi meno, noi gay conosciamo da vicino. Quanto all’enorme curiosità e successo di pubblico del museo non c’è molto da dire, il cazzo piace…