Vinicio Marchioni torna al teatro anche in veste di regista e si misura con Zio Vanja accanto a Francesco Montanari mentre esce il DVD del Contagio, tratto dal romanzo di Walter Siti, in cui interpreta un proletario bisessuale.

(prima pubblicazione Pride febbraio 2018)

 

Il suo bel volto corrucciato ci è diventato familiare grazie alla televisione con la serie Romanzo criminale (2008-2010) ispirata alla storia vera della banda della Magliana in cui Vinicio Marchioni interpretava lo spietato Freddo: “Ci avevano accusato di voler mitizzare le imprese dei gangster, invece nessun personaggio aveva un risvolto positivo e gli adolescenti, vedendo come rovinavamo la nostra vita, non pensavano certo di imitarci”.

Romano di origini calabresi, 42 anni, si è formato come attore alla Libera Accademia dello Spettacolo nella capitale, perfezionandosi poi al Centro Santa Cristina fondato da Luca Ronconi. Il ruolo del malavitoso gli ha portato fortuna e subito è arrivato il cinema con 20 sigarette, storia della strage di Nassirya avvenuta nel 2003, diretto da Aureliano Amadei che l’aveva vissuta in prima persona. A questo film sono seguite molte collaborazioni con registi esordienti poi affermatisi come Francesco Bruni e Paolo Genovese. In parallelo ha sviluppato un’articolata carriera teatrale: lo ricordiamo in Un tram chiamato desiderio dove era il seduttivo Stanley Kowalsky e nella Gatta sul tetto che scotta in cui si calava nel problematico Brick.

Per Vinicio questi sono mesi assai fecondi nei quali a teatro si divide tra la regia e il lavoro d’attore: ha da poco portato sulla scena il poeta “maledetto” Dino Campana in La più lunga ora (al Franco Parenti di Milano l’8 aprile). “La sua figura mi accompagna da anni: un pazzo, un manesco, un viaggiatore, un intellettuale, un uomo che ha fatto mille mestieri. La sua ora più lunga è quella finale, nel manicomio di Scandicci dove passò 14 anni.”

Il progetto più ambizioso lo vede nelle vesti sia di regista che di interprete: è Uno zio Vanja, la pièce di Cechov adattata da Letizia Russo e prodotta dalla Fondazione Teatro della Toscana (alla Pergola di Firenze sino al 4/2, poi all’Ambra Jovinelli di Roma dal 15 al 25/2 e al Duse di Bologna dal 2 al 4/3). Accanto a lui, scoraggiato Vanja che invano tenta di ribellarsi, ritroviamo Francesco Montanari, il Libanese di Romanzo Criminale, nel ruolo del medico Astrov. “I temi universali della famiglia, dell’arte, dell’amore, dell’ambizione e fallimento, inseriti in una proprietà ereditata dai protagonisti della vicenda di Cechov, sono al centro di questo lavoro. Cosa resta delle nostre ambizioni con il passare della vita? E se fossimo nell’Italia di oggi anziché nella Russia di fine Ottocento? La nostra analisi di questo capolavoro parte da queste due domande che aprono squarci di riflessioni profondissime, attraverso quello sguardo insieme compassionevole, cinico e ironico proprio di Cechov, finalizzato, come lui stesso affermava, a mettere in scena gli uomini per quello che sono e non per quello che dovrebbero essere”.

Di Vinicio avevamo accennato su queste pagine a proposito del film Il contagio, diretto da Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, presentato alla Mostra di Venezia, in cui è Marcello, proletario bisessuale che per procurarsi il denaro per la cocaina si vende a uno scrittore (Vincenzo Salemme). In occasione dell’uscita del film in DVD approfondiamo con lui il personaggio. “È un borgataro che non fa altro che andare in palestra e pippare cocaina: per mantenere questo stile di vita decide di fare marchette. Ha un fisico massiccio, una corazza, dentro la quale però si trova il cervello di un ragazzino di sei anni. La difficoltà maggiore è stata quella di dover mostrare questo corpo, di girare quasi sempre seminudo e fare cose mai fatte prima. Nel romanzo omonimo di Walter Siti da cui il film è tratto, Marcello è un culturista: naturalmente non sono arrivato a raggiungere quella forma ma ho messo su un bel po’ di muscoli.”

Il personaggio è stato modificato tra la versione letteraria e la sceneggiatura e cosa l’ha convinto a interpretarlo? “Nel romanzo ci sono descrizioni molto dettagliate sui suoi rapporti sessuali con lo scrittore che nel film sono soltanto suggeriti. Mi ha colpito favorevolmente il realismo con cui Siti lo ha descritto, così come ha descritto l’ambiente delle periferie romane: la sua fotografia è unica perché, pur essendo impietosa, non è mai giudicante e alla fine ti affezioni a questi personaggi veri e sinceri. Con lui, che senti stare dalla parte dei più deboli, si è stabilita una bella confidenza. È un uomo di enorme cultura e grande sensibilità, un intellettuale che riesce sempre a stare in contatto con la realtà” E con Salemme come si è trovato? “Benissimo. L’ho sempre ammirato in tutte le cose che ha fatto da straordinario professionista: è stato coraggioso ad accettare una parte scabrosa e rischiosa. Mi auguro che questo ruolo inedito gli possa aprire un’altra parte di carriera”.