Pubblichiamo l’ultima intervista inedita in Italia a Tony Patrioli, a pochi mesi dalla scomparsa del fotografo che ha celebrato la bellezza e la sensualità dei giovani maschi italiani.
(prima pubblicazione Pride settembre 2018)
Come hai iniziato e qual è stato il tuo percorso artistico?
Voglio essere sincero, perché non ho nulla da nascondere e nulla di cui vergognarmi: con la pornografia. All’epoca, nei tardi anni Sessanta e nei primi anni Settanta, nessuno aveva il coraggio – non perché io voglia sopravvalutarmi ma perché era così – per fare il porno. Io però me ne infischiavo di tutto e di tutti, facevo solo quello che mi piaceva e che volevo fare. Mi viene quasi da ridere quando mi chiedono del mio percorso artistico: come vuoi che faccia a spiegare loro che quando ero ragazzo ho cominciato giovanissimo a fotografare cazzi: non pensavo certo all’arte, era solo una scusa per “farmi” i modelli. Ovviamente la prendevo alla larga, improvvisavo al momento, e per questo mi consideravo un’attrice consumata: perché passavo da un copione all’altro pur di arrivare a rosicchiare l’osso.
Ho cominciato a fotografare che avrò avuto sedici anni, fotografavo i miei amanti, ma sempre con l’idea di entrare in intimità con questi ragazzi della mia età, o più grandicelli, ed era una scusa che ho affinato col tempo. Ovviamente all’inizio non facevo il nudo, mi bastava entrare in confidenza, e il gioco era fatto. Ero come ossessionato, avevo sempre la macchina con me, vedevo uno, lo fermavo e tentavo di fotografarlo, finito con lui tentavo con un altro: ero ossessionato. Mi ricordo di quell’epoca perché è quella in cui ho mandato affanculo la religione, i preti che mi avevano terrorizzato, e ho cominciato a vivere la mia vita, come volevo io.
Ma poi, dai, non bisogna neanche raccontare tutta la verità a chi guarda le immagini, bisogna fare sognare, bisogna lasciare immaginare allo spettatore le cose: l’immaginazione, la fantasia sono molto più belle della cruda verità.
Sì, però guardando le foto si vede che non sono le istantanee di un dilettante, si nota una capacità tecnica. Non sei tanto “selvaggio” quanto vuoi far credere…
Sì, è vero, in un secondo momento, quando le mie foto hanno iniziato a girare e a essere pubblicate, ho frequentato una scuola di fotografia, che mi ha dato le basi tecniche per il resto della mia carriera. Ma insisto sul fatto che come prima cosa ho iniziato a fotografare il nudo: il bisogno di acquisire la tecnica è venuto solo in un secondo momento, come conseguenza, e non come base di partenza.
Come sei passato dalle foto ricordo degli amanti alle pubblicazioni?
Conobbi uno che si firmava Bisanzio Padano su una rivista “piccante” (per etero), che vide le mie foto di ragazzotti col cazzo duro, scattate sempre nello stesso negozio, e la redazione mi convocò.
Pensi che il tuo lavoro abbia contribuito alla visibilità del desiderio omoerotico?
Non penso proprio. Avrò fatto la mia parte, ma la facevo per me, non certo per gli altri. Anche se devo dirti che molti miei amici hanno “pasteggiato” con i ragazzi che presentavo loro.
Che consigli daresti a chi volesse oggi fotografare il nudo?
Ma non si può rispondere a una domanda simile! Non si possono dare consigli agli altri! Ognuno deve trovare da solo la propria motivazione! Io ho fotografato il nudo perché avevo una motivazione forte, ma come posso a dire a un’altra persona quale motivazione dovrebbe avere? Di sicuro è necessario verificare di avere una motivazione forte per farlo. Ci sono mille altri soggetti da fotografare, meglio accettati dalla società, più facili da vendere. E se non si è disposti a fare maggiore fatica degli altri e a vedersi guardare male, allora è meglio non farlo.
Come sceglievi i tuoi modelli?
Partivo dal viso: doveva essere un viso che m’ispirava, dovevano essere lineamenti che mi dicevano qualcosa. Ti faccio un esempio: c’è una foto, che è piaciuta molto, di un ragazzo che esce dall’acqua in una piscina: ho sfruttato il suo viso che era molto bello, ma il corpo non rispondeva ai requisiti. Quindi ho usato solo il volto. Poi, ovviamente, se c’era anche il resto, se c’erano le forme del corpo, allora facevo anche le foto a figura intera.
Come facevi a convincere i tuoi modelli? Dopo tutto negli anni Settanta e Ottanta il nudo maschile era ancora un tabù, e non solo in Italia.
All’inizio dovevo essere molto morbido, usare una tecnica molto dolce: li facevo spogliare piano piano. Se poi l’ambiente aiutava, allora era già più facile, ma per aiutarmi usavo quasi sempre foto di ragazze nude che portavo con me (e ovviamente non dicevo mai di preferire i ragazzi), raccontando che avevo delle amiche che seguivano il mio lavoro e… “Dai, facciamone qualcuna che le faccio vedere alle mie amiche”.
E loro davvero non capivano dove volevi arrivare?
Ovvio che lo capivano, e se non erano d’accordo mi dicevano di no subito! Ma diciamo che all’epoca serviva, ma anche bastava, l’alibi della ragazza. E poi chiaramente quando si andava al punto che volevo fare qualche foto in erezione, qualche dubbio sulla mia eterosessualità lo avranno anche avuto, ma ormai avevo dato l’alibi, a quel punto non si tiravano più indietro, te lo assicuro! Una volta che si erano eccitati, erano loro che volevano arrivare fino in fondo. Era un’occasione, un gioco insolito, magari uno sfogo per fare qualcosa che con le ragazze non si riusciva a fare, all’epoca, quindi loro si divertivano a farlo. Se c’era il modo, se la cosa non era del tutto occasionale, erano loro a tornarmi a cercare, a volte a propormi di “fidanzarci”.
È possibile che nessuno abbia mai risposto male alle tue proposte?
Reazioni? Non è che andavo subito e gli dicevo che volevo fotografarlo. Cominciato ad attaccare discorso, chiedevo un’informazione, poi mi regolavo in base a come reagiva. Ma siccome avevo una tecnica, e la fortuna di apparire maschile e quindi tranquillizzante, i discorsi andavano avanti normalmente; il più delle volte quando ero incerto io, erano loro che mi facevano capire che avevano piacere a fare un giretto, andare assieme, fare qualche foto…
Se uno non voleva, mi diceva che non aveva tempo, che non poteva, ma sempre con le dovute maniere, perché ero gentile. Sono tempi andati, irripetibili. La sola cosa triste di quel periodo è che guardando le foto, di alcune non ricordo assolutamente niente alla mia età.
Solo sesso, mai un amore?
Io mi sono innamorato molte volte, ed è stata una sofferenza terribile. Otto o dieci ragazzi per cui sono stato disperato, che mi hanno lasciato loro, ed evidentemente erano storie intense. Di ragazzi che mi sono piaciuti molto ce ne sono stati, e ci sono ragazzi che mi sono rimasti nel cuore, però non era facile avere una relazione: all’epoca non c’erano i cellulari, e io i ragazzi dovevo chiamarli sul telefono fisso a casa, e spesso la madre intercettava la telefonata, si insospettiva, e io lo perdevo per sempre: sai quanti ne ho persi in quel modo?
Be’, certo, se fai sesso con un eterosessuale che vuole solo “sfogarsi”, non puoi certo pretendere che poi s’innamori di te…
Io non ho mai distinto se il ragazzo era gay o etero: per me erano solo ragazzi di cui io mi ero innamorato e che mi hanno fatto soffrire. Tanto poi per fortuna li rimpiazzavo subito: cazzo scaccia cazzo. Il mio trucco era questo: “fidanzamenti” segreti che facevo quasi con tutti per favorire il lavoro, poi con la faccenda che eravamo “fidanzati”, non dico che pretendevo di fare le foto, però chiedere di fotografare diventava facile, quasi implicito. Fidanzamenti lampo, ovviamente…
Quali caratteristiche deve avere una foto, secondo te, per essere definita arte omoerotica?
Mi viene il nervoso quando mi fai domande così: ma chi se ne frega? Ma io pensavo a me, pensavo a capire cosa avrei tratto dalla conoscenza, figurati se mi sono mai posto il problema di cosa sia l’arte!
E oggi, invece, cosa provi quando senti gli altri parlare dell’arte di Tony Patrioli?
Se in passato mi avessero detto che un giorno la mia produzione sarebbe stata considerata arte, non ci avrei creduto e mi sarei messo a ridere. Non ho mai riflettuto sulla mia arte, mai mi è balenato in mente che io potessi fare arte, solo adesso che sono vecchio bacucco salta fuori questa idea che io sarei stato un artista. E ho pensato: se le espongono in mostra, queste cose qua, allora vuol dire che trovano interessanti le foto. È stato lì che mi è venuto il dubbio che magari un po’ artista posso esserlo stato. Ma prima mi bastava, come soddisfazione, vedere pubblicare la mie foto sulle riviste gay, come Homo e Babilonia.
C’è stata un’evoluzione nella tua produzione?
Come ho già detto prima, col tempo ho cercato di fare le cose un po’ meglio, con tranquillità: non avevo più la frenesia del cazzo, stavo molto più attento, ero molto più rilassato, cercavo di mettere i ragazzi a loro agio, quindi lavoravo meglio, mentre nei primi anni ero talmente eccitato, come un drogato in crisi di astinenza, e non vedevo l’ora che arrivasse il momento di affondare i denti nella preda.
Cosa vorresti fosse ricordato del tuo lavoro?
Quando sarò crepato, cosa vorrai che me ne freghi?
Va bene. E adesso?
E adesso cosa vuoi che me ne freghi di come mi ricorderanno quando sarò crepato? Sai piuttosto qual è l’unica cosa che mi ha lasciato soddisfatto? Che ho avuto una vita sessuale molto coinvolgente, che credo pochi abbiano avuto, grazie alla fotografia. Ho “pasteggiato” molto e con grande soddisfazione, finché ho potuto, anche se poi molte occasioni sono state perse, dato che non ero quasi mai da solo.
L’intervista completa è stata pubblicata nel 2016 in spagnolo dalla rivista argentina “Muta” ed è disponibile a questo link: issuu.com/revistamuta/docs/muta_n__9/4