Torna Convivio, evento fashion di raccolta fondi per la lotta all’AIDS, la cui campagna, con lo slogan shock “L’AIDS è di moda” ha creato scandalo ma che ha anche avuto effetti positivi inaspettati. Ne parliamo con Franca Sozzani, direttrice di Vogue Italia.

(prima pubblicazione Pride giugno 2016)

 

Nato da un’idea di Gianni Versace nel 1992, Convivio si conferma anche per la tredicesima edizione come un’importantissima manifestazione di beneficenza per raccolta fondi da destinare alla ricerca per la lotta all’AIDS. Ogni volta migliaia di persone provenienti da tutto il mondo arrivano a Milano invogliate da un duplice motivo: essere solidali con chi ne ha più bisogno e non farsi sfuggire la possibilità di acquistare capi e accessori di moda a prezzi scontati. Tutti i guadagni andranno a finanziare le attività di Anlaids Italia.

Dopo la morte dello stilista è stata Franca Sozzani, direttrice di Vogue Italia e sua grande amica, a raccogliere il testimone e a continuare a organizzare l’iniziativa, tenendo duro e sfruttando la sua personale rete di contatti anche in anni di crisi economica per tutti. La campagna promozionale di quest’anno ha avuto come testimonial la stessa Sozzani e Donatella Versace (che si dissocerà dicendo che non aveva autorizzato l’uso della sua immagine), con uno slogan molto forte e giocato su un paradosso, che ha provocato un autentico terremoto mediatico e ha diviso la nostra comunità: “L’AIDS è di moda”. Ecco i perché di questa scelta.

Quando avete deciso lo slogan della campagna, immaginavate che si sarebbe creata una tale bufera? La comunità gay si è spaccata e i commenti vanno da “una cosa vergognosa” a “provocatoria e potente”. 
Assolutamente sì, era quello che io volevo. Sono 26 anni che io lavoro per Convivio e non mi sono mai esposta. Abbiamo anche sempre fatto campagne tipo “fai shopping che mi aiuti” o “compra e fai del bene” un po’ in stile dame di San Vincenzo, ma lo scorso anno è morto il professor Moroni (infettivologo, è stato anche membro della Commissione Nazionale AIDS, N.d.R.) che era il mio riferimento, colui che si è sempre battuto per la ricerca e la medicina. Un uomo straordinario che mi convinse a fare questa cosa, che non è così evidente da svolgere perché è un grossissimo lavoro, e nel voler mettere tutti insieme devi continuamente chiedere delle cose, anche umilmente.

Quest’anno ho detto basta, facciamo una campagna forte, non abbiamo sempre paura di pronunciare la parola AIDS. Quando l’agenzia di comunicazione mi ha proposto di metterci la faccia e la frase ci ho pensato un minuto e mezzo e ho detto: “Sì, lo faccio”. Questa campagna ha sicuramente suscitato molto clamore ma prima di farla uscire ci eravamo confrontati sia con i medici che con i volontari, di cui molti sono sieropositivi, per vedere la loro reazione e tutti hanno detto di farla.

L’effetto boomerang però ha offuscato il valore di Convivio, di quanto denaro ha raccolto negli anni e di quanto lei in prima persona ha sempre fatto.
I dati sono questi: se si chiede alle persone chi si ammala di AIDS, al 90% rispondono ‘gli omosessuali’ ed è sbagliato. La percentuale è 60% i gay e 40% gli/le eterosessuali, percentuale aumentata negli ultimi 8 anni perché prima era il 2%. Solo che la popolazione omosessuale lo sa da tempo che è a rischio e che se si muove in una certa maniera si può ammalare, mentre ciò che fa paura è che l’eterosessuale lo nega.

Il picco delle infezioni adesso è nella fascia di età tra i 21 e i 30 anni, persone che lo negano alla famiglia e lo negano al/alla partner, non dicendo la verità. Se tu sei un ragazzo che sta da un anno con una ragazza e le dici ‘stasera facciamo l’amore con il preservativo?’, puoi immaginare che la risposta è ‘ma tu sei pazzo, cosa ti viene in mente?’. Quindi vanno avanti facendo finta di niente e succede che avviene il contagio. Poi a quella età ci si lascia perché è normale, lei a sua volta non sa di essere sieropositiva e la catena si allunga. Adesso sono 10 le persone che al giorno contraggono l’HIV, mentre qualche tempo fa erano 7. Quindi basta fare i puritani, io lavoro nella moda da trent’anni e non sono diventata pazza. Se per moda intendiamo un fenomeno collettivo, l’AIDS è un fenomeno collettivo.

Come è stata accolta allora la campagna?
Dopo l’iniziale stordimento perché la frase è un pugno nello stomaco, abbiamo costretto le persone a pensare, a darsi e darci una risposta. L’AIDS è di moda perché la colpa della sua diffusione è di tutti noi: dei genitori che non educano i figli, di chi non usa il preservativo per proteggersi, di chi non si cura, del fatto che non se ne parla ecc.

L’effetto fantastico che abbiamo avuto è che nel giro di dieci giorni moltissime aziende che non avevano mai partecipato a Convivio ci hanno contattato, e siamo passati da poco più di 100 a quasi 200 stand. Convivio deve arrivare a raccogliere due milioni e mezzo di euro che finanzieranno la ricerca di Anlaids per due anni e anche il volontariato, le case famiglia, i malati terminali, l’educazione.

Ci ricorda come nacque l’evento?
Gianni Versace tornò da New York, dove il problema era molto più sentito che da noi, non che non ci fosse ma non se ne parlava mentre là era molto più diffuso, e dove nel 1990 avevano creato l’evento “7th on sale” in cui stilisti di calibro, da Calvin Klein a Donna Karan ma anche gente meno importante, facevano una raccolta fondi per aiutare i malati di AIDS soprattutto i malati terminali che erano abbandonati dalle famiglie.

Noi contattammo il professor Moroni e poi iniziammo e mano a mano Convivio è diventato sempre più importante. Di AIDS adesso non si muore, mentre si muore di cancro o di sclerosi multipla quindi i finanziamenti della ricerca si sono spostati perché i soldi sono pochi.

Tom Ford è uno stilista che dichiara il suo stato di persona sieropositiva, diventando quindi un modello di ruolo e dimostrando che si può convivere con il virus ed essere una persona di estremo successo. In Italia sembra invece vigere sempre “il terrore da fatturato”: certe brutte cose si tengono dentro all’armadio e ben chiuse a chiave. Cosa ne pensa?
In Italia il proprio stato sierologico non lo si dichiara perché si ha paura come si ha paura della parola AIDS, e le cause sono l’ignoranza della gente e la mancanza di comunicazione. Tuttora la si considera la malattia dei gay e dei tossici, ma il virus HIV si sa come lo si prende e se vuoi ti proteggi e se non vuoi farlo cerca di evitare di far ammalare altre persone.

Il cancro è “democratico” perché colpisce chiunque e indifferentemente dal papa al barbone o bambini senza colpa, e c’è chi non ha problemi a raccontare della propria malattia e di come la combatte e non c’è mai la vergogna. L’AIDS si pensa che “te lo vai a cercare”, a cui si aggiunge il retropensiero che allora sei gay a cui si aggiunge il senso di colpa.

Però può succedere a tutti di sbagliare e di aver avuto un comportamento a rischio occasionale perché magari ti sei innamorato e hai perso la testa e non ci hai più pensato. Non sei andato a fare la roulette russa per vedere se ti infettavi o meno altrimenti sei un idiota. Quindi non ha senso vergognarsi nel 2016 e a me spiace che tanta gente che potrebbe essere fantastica come ambassador abbia paura.

Miuccia Prada ha detto che la moda è un’industria molto potente ma in Italia resta ben distante dalle istanze della comunità LGBT. Dove abbiamo sbagliato nell’entrare in contatto con il mondo degli stilisti? Jean-Paul Gaultier per esempio da decenni è un militante molto attivo soprattutto sul tema HIV, disegnando ultimamente per beneficenza persino le etichette per un famoso marchio di tè.
In tutti gli uffici di stile ci sono migliaia di gay. Secondo me non c’è stato un errore, lo sbaglio è prima, nella famiglia, nella società, a scuola perché ti fanno sentire diverso e automaticamente nella tua vita ti comporti diversamente. Quindi succede che quando finalmente entri in una comunità dove invece ti senti protetto diventi un po’ presuntuoso, tracotante, baldanzoso. L’omosessualità oramai è un fatto che va accettato come tale, non è più un divenire che porta scompiglio. Oscar Wilde fu mandato in prigione ai suoi tempi ma oggi nei paesi occidentali questo non è più accettabile.

A partire del 20° secolo stilisti apertamente gay hanno avuto un’influenza storica nel mondo della moda fino a mettere in discussione l’identità di genere, però in qualche modo siamo sempre rimasti ai margini della società. Con la sua capacità di capire in anticipo le tendenze, come pensa che le cose cambieranno in futuro?
Intanto penso che chi ha determinato la moda e l’ha cambiata come Yves Saint Laurent, che ha vestito le donne da uomo, o Giorgio Armani appartenevano entrambi a famiglie borghesi, da cui si sdoganarono bene andando dritti per la loro strada senza manifestare ma senza negare. Si sapeva che erano omosessuali e vivevano con il loro compagno ma nessuno di loro si è molto atteggiato. Io penso che l’omosessualità non debba essere né una bandiera e neanche un nascondersi. Quindi penso che l’evoluzione è proprio la conquista della normalità, è li che ci sarà la vera vittoria.

La moda potrà modificare il punto di vista di mercati importanti ma omofobi come la Russia e i paesi arabi, l’India e in parte la Cina? O sarà come da noi in passato che se sei gay e stilista o parrucchiere ti accetto altrimenti ti mando in prigione o peggio?
La realtà è che è un problema e un errore dei governi e non dei singoli. È il governo per esempio che vuole tenere le donne vestite in una certa maniera, sono regole umane per controllare la società. Sono i governi che devono smettere di sminuire la questione e risolverla. Tutti i maggiori referenti della moda sono gay e allora se ci fosse una vera coerenza questi paesi non dovrebbero più comprare moda ma questo è assurdo.