Un nuovo romanzo racconta con disarmante autenticità le vite delle persone transgender, spesso connotate da difficili decisioni e situazioni, portando l’attenzione su di esse e rimettendo in causa pregiudizi e preconcetti.
(prima pubblicazione Pride febbraio 2016)
A 7 anni da Diurna – La transessualità come oggetto di discriminazione, Monica Romano ha pubblicato Trans – Storie di ragazze XY. Il libro racconta una storia immaginaria ma ricalcata sulle esperienze personali e di tante persone che la vita le ha fatto incontrare, e accompagna il lettore nel viaggio che la protagonista Ilenia compie attraverso l’adolescenza e verso l’età adulta fornendo un importante punto di vista da dentro.
Come persone LGBT ci troviamo di frequente nelle nostre vite davanti a bivi tra due o più strade, come se dire o non dire di sé, a chi dirlo e quando pensando a come reagirà. Alcuni di questi momenti sono riti di passaggio che ci accomunano a qualsiasi latitudine e longitudine, spesso legati alla paura da affrontare o anche, comprensibilmente, scegliendo di fuggire da essa.
I fattori che entrano in gioco nelle nostre decisioni sono molteplici ma i condizionamenti culturali, sociali e storici, magari senza che ce ne accorgiamo, hanno un peso preponderante, per cui si può arrivare a pensare che alcuni percorsi da intraprendere siano obbligatori, perché “tanto non c’è altra scelta”.
Queste influenze sono particolarmente forti per persone di sesso maschile che attuano una transizione verso il genere femminile: per la società e per i benpensanti la prostituzione può essere la loro unica meta. Capacità, valori, attitudini, preferenze, sentimenti, sogni sono dati “non rilevati” al punto da far credere, fino a convincere, che siano irrilevanti.
Ilenia, invece, è una persona che non si arrende e scompiglia le carte del destino: nonostante bullismo, discriminazione, violenze fisiche e verbali, si laurea, trova un lavoro e un amore inaspettato, quello per una donna. Abbiamo chiesto all’autrice un confronto aperto su questi e altri temi.
La transessualità è un’esperienza umana a cui l’opinione pubblica non sembra volersi abituare. Il pregio principale del tuo libro è di far conoscere il vissuto autentico dei “trasgressori di genere” per far completamente capire ciò che vivono. Cosa ti ha spinto a scriverlo?
Mi ha spinto la voglia di arrivare alla “casalinga di Voghera” principalmente, quindi di scrivere un libro in prima persona che nella forma di un racconto semplice, e accessibile davvero a chiunque, potesse favorire in qualche modo un processo di identificazione e di empatizzazione con qualsiasi lettore. Voglio spiegare al cittadino chiunque quali possano essere le difficoltà che una persona trans incontra lungo il suo cammino.
Se l’orientamento sessuale e romantico è un mondo “semplice”, preferisco un uomo o una donna o non sono indifferente a entrambi, l’identità di genere è una galassia dove l’auto-definirsi è molto personale e importante: da transessuale a genderqueer le sfumature sono quasi infinite. Chi sono le ragazze XY e i ragazzi XX?
Ragazza XY è un neologismo simpatico con un potere rivoluzionario perché permette di riappropriarsi del diritto sacrosanto di definirsi. Nella quotidianità siamo persone transgender che è un termine che andiamo sempre più rivendicando, in quanto transessuale è un termine che la comunità scientifica ci ha attaccato addosso con l’intento di catalogarci e inserirci nella patologia. Transgender nasce dal movimento, ha preso sempre più piede negli ultimi anni, ed è personale ma forte. L’esperienza trans, infatti, porta a confrontarti con un mondo che vuole a ogni costo dirti sempre cosa sei. Rispetto alla mappa binaria “uomo/donna” tutti vogliono con violenza sapere dove tu ti trovi. E oltre a definirti hanno l’esigenza di sapere come è fatto il tuo corpo.
Un classico proverbio giapponese dice “sette volte cado, otto volte mi rialzo” e questa potrebbe essere la lezione che Ilenia vuole comunicare, aggiungendo come scrivi all’inizio del tuo blog transgenderfreedom.com “Sogno un mondo dove la biologia non sia un destino, dove il sesso della persona sia un dato del tutto irrilevante che non abbia alcun riscontro a livello legale e burocratico, nel quale non conti se siamo ‘maschi’ o ‘femmine’”.
Ilenia comunica soprattutto l’idea che il sistema anche culturale in cui vivi, ciò che ti viene detto dalle persone in molti casi non è vero, devi saperlo mettere in discussione perché non è la verità che fa per te. Questa da un certo punto di vista può anche essere la strada più difficile perché nuova e differente e può portare a farti cadere moltissime volte. Bisogna lottare per avere un altro genere di vita e di destino ma se Ilenia ce l’ha fatta può provarci chiunque. In gioco ci sono le nostre vite.
Negli Stati Uniti, con conseguente eco planetaria, nel 2014 Laverne Cox è la prima donna transessuale ad apparire sulla copertina di Time e l’anno successivo Caytlin Jenner è su quella di Vanity Fair. Perché in Italia è difficile avere dei modelli di ruolo T che aiutino a capire che, pur se con fatica, le alternative esistono?
Per la donna T media è difficile riuscire a emanciparsi da un certo tipo di immaginario e chi ci riesce, quindi chi sopravvive, chi riesce ad affrancarsi da un certo tipo di ruolo deve essere anche abbastanza forte. Sono quasi anche delle eroine quelle poche che riescono ad avere un riscontro sociale, a realizzarsi nella propria professione, ad avere un riscontro lavorativo e familiare. Quando hai tutto questo allora sì, puoi arrivare a incarnare un esempio, un’idea per altri.
Visti i non risultati ottenuti e l’esperienza spagnola, io ritengo che le istanze trans dovrebbero attivarsi in piena autonomia. Il movimento non deve tornare a essere solo gay e lesbico ma deve essere meno dispersivo, perché ogni lettera dell’acronimo ha oggettivamente esigenze diverse. Inoltre all’estero ogni conquista ha portato a un passo successivo mentre noi siamo a lottare a 360° su tutti i fronti in contemporanea.
In Italia va un po’ diversamente. La prima minoranza che ha portato a casa una legge è stata la minoranza T, un’anomalia italiana in effetti ma così è andata. E le persone trans un po’ ce l’hanno fatta da sole. Una certa parte del movimento gay da sempre vorrebbe portare le istanze separatamente, per cui ogni lettera va per conto suo. Io invece penso che tutto questo altro non sia che il condizionamento dell’eterosessismo imperante che ci porta a pensare che sacrificando in qualche modo i parenti meno presentabili, l’anello debole come le persone trans, forse gli etero ci accetteranno un po’ di più. Siamo un elemento che porta vergogna, ci accusano di rovinare i pride. C’è un po’ questa idea qua che secondo me è un’idea perdente perché riconosci comunque che il modello eterosessista va bene in qualche misura, lo stai riconoscendo. Gli insegnamenti di Mario Mieli, la nostra storia dove vanno a finire?
Tornando a noi, come è messa allora la comunità politica T attualmente? Non alza abbastanza la voce o le altre lettere dell’acronimo sono sorde?
È un momento italiano molto difficile. L’esperienza dell’associazionismo trans puro a un certo punto della nostra storia aveva anche delle istanze separatiste. Un esempio fu Crisalide Azione Trans, di cui feci parte del Direttivo dal 2003 al 2007, che fu un’associazione che secondo me lasciò un segno. Crisalide fu l’unica realtà che, insieme ad ArciTrans di Deborah Lambillotte, iniziò a tentare di creare un’associazione nazionale con diversi sedi distaccate. Sono state due esperienze importantissime che hanno lasciato un segno, però sono due associazioni estinte, non è rimasto più nulla e io lo trovo tragico. È rimasto solo il MIT di Bologna, associazione trans storica.
Quindi?
Quindi rispetto alla comunità T oggi, quello che mi preme dire è che ora abbiamo un po’ perso tutto quello che come attivismo è stato fatto negli anni precedenti. Me ne rendo conto quando ho contatti con giovanissimi e giovanissime che mi arrivano all’associazione Milk dove ho aperto uno sportello di consulenza e mi dicono: “Sai io sono qui perché ho una malattia psichiatrica, ho una disforia di genere”. Lì mi rendo conto che tutto il lavoro fatto negli anni precedenti è servito indubbiamente ma anche che oggi le persone trans sono molto isolate. Per quanto si dica che Facebook o YouTube fanno tantissimo, ed è vero perché le informazioni girano più facilmente di un tempo, le persone non si trovano mai tra di loro.
Quando io andavo alla discoteca Nuova Idea ero comunque costretta a stare con altre trans e questo cambiò la mia vita. Questi ragazzi sono veramente convinti che con un profilo Facebook, andando a vedere qualche video in rete, andando poi all’ospedale dicendo che hanno la patologia psichiatrica iniziano il loro percorso e tutto finisce lì. Oggi prende piede l’idea che la transizione è una questione medica, che comincia e finisce e diventi qualcosa – idea che io trovo pericolosa – e quando cerchi di spiegare a questi ragazzi e ragazze che è importante trovarsi, stare tra noi, fare gruppo, fare autocoscienza c’è diffidenza, e si crea una distanza perché mi rendo conto che parliamo un linguaggio differente. È un’altra generazione e io li perdo. Quando hanno le loro informazioni solo uno su dieci si ferma ai gruppi di auto mutuo aiuto e ai gruppi di autocoscienza, quindi questo è un grosso problema.