Netflix si conferma essere un potente alleato della comunità LGBT con la messa in onda di una serie TV basata sulla vita reale del protagonista: un ragazzo gay affetto da paralisi cerebrale. Siete pronti a ridere e a riflettere allo stesso tempo?
La serie comica in otto puntate Special disponibile su Netflix è basata sul libro autobiografico pubblicato nel 2015 I’m Special: And Other Lies We Tell Ourselves (Sono speciale e altre bugie che ci raccontiamo) di Ryan O’Connell, e ha come protagonista un giovane gay affetto da paralisi cerebrale in una forma blanda che non lo costringe su una sedia a rotelle ma gli crea comunque alcuni problemi evidenti con la coordinazione motoria.
Ogni episodio dura solo 15 minuti, probabilmente perché gli intervalli di attenzione del pubblico continuano a diminuire e c’è un mercato da “un quarto d’ora”, per cui l’insieme assomiglia più a una serie web che a un programma televisivo. Vale però la pena di vederla per il messaggio che vuole trasmettere: rileggendo e riscrivendo la sua identità, Ryan amplia gli orizzonti della sua esistenza limitata nella speranza di conquistare la vita che davvero desidera.
All’inizio della storia Ryan è investito da una macchina – cosa che successe davvero a O’Connell – e poi inizia uno stage presso EggWoke, un sito che pubblica articoli basati su esperienze personali gestito da Olivia, il tipico stereotipo del boss narcisista da incubo che ha imparato le peggiori lezioni da Miranda Priestley di Il diavolo veste Prada. In ufficio però instaurerà una profonda amicizia con Kim, una formosa ragazza di colore che come lui soffre del problema di farsi accettare in un mondo bianco, maschilista e ossessionato dalla forma fisica perfetta.
Invece di dichiarare la verità sulla sua disabilità ai colleghi, Ryan mente spiegando che i suoi sintomi fisici sono dovuti alla sua ferita. Per lui questo non è un errore di valutazione che ha bisogno di essere corretto quanto un’incredibile opportunità per iniziare a vedersi e a farsi vedere sotto una nuova prospettiva dopo una vita di condiscendenza da parte degli altri. All’improvviso non è “il ragazzo con paralisi cerebrale” che suscita pietà ma solo un essere umano che è stato sfortunato.
La nuova vita e il nuovo lavoro gli danno quindi l’occasione per ridefinire se stesso in seguito a quanto gli succede. Inizia, infatti, a fare nuove amicizie, esplora la sua sessualità e prova finalmente a essere indipendente dalla sua madre iperprotettiva.
Trattandosi di una sitcom, tenere in piedi questa bugia non è così semplice come Ryan sperava, ma gli equivoci e tutte le incomprensioni comiche permettono di veicolare messaggi più seri. Quanto è difficile accettarsi e farsi accettare per quello che si è? Quanto possiamo lavorare su noi stessi e sul mondo che ci circonda e plasma per cambiare le nostre vite e, infine, che ruolo gioca il desiderio nelle nostre scelte o in quelle altrui?
Cosa assolutamente straordinaria per l’Italia perché è un vero e proprio tabù culturale, in uno degli episodi Ryan decide di pagare un escort in modo che possa perdere la verginità senza paura o imbarazzo. Lo fa in una sequenza seria e sessualmente esplicita ma con dialoghi che lasciano comunque ancora spazio a scherzi e sorrisi.
Per le persone “normodotate” parlare di disabilità è sempre difficile, perché basta poco per diventare offensivi o peggio assumere un tono paternalistico. Special possiede la qualità che a prendere la parola è un “addetto ai lavori” che descrive problemi comuni a tutti come sentirsi estraneo all’ambiente che ti circonda, analizzato e giudicato oltre il lecito, spinto a fare cose che non vorresti. Per Ryan queste situazioni sono semplicemente amplificate dalle sue difficoltà.
Come personaggio principale della serie Ryan è rivoluzionario ma anche profondamente insicuro e talvolta più egoista di quanto non voglia ammettere. Fa errori che lo aiuteranno a cambiare e ne paga le conseguenze come chiunque di noi, ma quando dice: “Ero nell’armadio dell’essere gay, e poi ero nell’armadio dell’essere disabile, e ora… niente più armadi” diventa un modello di ruolo.
In lui si fondono un desiderio di riscatto e indipendenza, ma anche la necessità di appoggiarsi alle non molte persone che gli vogliono davvero bene. Ulteriore messaggio da non sottovalutare è quindi l’importanza di trovare un alleato o un’alleata come Kim che ti spinge ad affrontare e superare i tuoi limiti, qualsiasi essi siano.
In Italia a occuparsi per prima delle persone “omodisabili” e delle loro esigenze affettive e fisiche fu nel 2007 Priscilla Berardi, psicoterapeuta e medico che con la supervisione e il coordinamento del sociologo Raffaele Lelleri condusse la prima ricerca nazionale sulla sessualità delle persone LGBT disabili Abili di cuore – Omo-disabilità: quale rapporto tra omosessualità e disabilità?
Sempre la dottoressa Berardi insieme al regista Adriano Silanus ha realizzato il documentario Sesso, amore & disabilità per dare voci e volti ai protagonisti della ricerca. Una specie di coming out della fisicità estesa anche a persone eterosessuali, perché certi argomenti non hanno orientamento e il modo di viverle è lo stesso per tutti.
Anche Rai3 ha trattato l’argomento con la serie documentaria in quattro puntate Il corpo dell’amore per la regia di Pietro Balla e Monica Repetto. Quattro piccoli film incentrati su protagonisti con disabilità motoria o cognitiva che affrontano le gioie e i dolori della libertà sessuale.
Tra di essi Giuseppe, 24 anni, attivista disabile e omosessuale di Bologna, che va a Napoli per partecipare al gay pride. Qui incontra il giovane fotografo Andrea e il viaggio che doveva durare un solo giorno si trasforma in un percorso di accettazione di sé o forse d’amore.
Ed è proprio a Bologna, all’interno di Arcigay Il Cassero, che opera con forza e determinazione il gruppo Jump per offrire “supporto tra pari”, cioè uno scambio di esperienze tra persone disabili omo/bi/trans che vivono situazioni simili, e per lottare per il diritto a una vita indipendente, anche sul piano dell’affettività e della sessualità.
Non è detto Special abbia necessariamente un fine pedagogico, più probabilmente vuole solo rappresentare la vita, diversa dalla maggior parte di noi, di una persona che ci racconta il suo vissuto e il suo punto di vista. Perché però essere normali quando si può essere favolosamente speciali?