L’attuale confusione tra “sesso” e “genere” indotta dalla filosofia postmoderna, secondo la quale la realtà materiale non ha alcuna importanza, sta dando una spinta potentissima alla normalizzazione delle nuove generazioni. Se sei un bambino effeminato, diventerai bambina. Se sei un maschiaccio, allora sei “veramente” un ragazzo. Big Pharma ti sorride: ti venderà ormoni per tutta la vita.

 

L’estate scorsa ho scritto La piccola principe un piccolo libro che strizza l’occhio al capolavoro di Antoine de Saint-Exupéry. È una “lettera alle giovanissime su pubertà e transizione”, rivolta a chi pensa di essere nata nel corpo sbagliato, di essere in realtà un ragazzo.

Ci sono molti motivi per cui in questa società patriarcale è meglio essere maschi piuttosto che femmine, specialmente se non ci si vuole conformare al genere femminile, cioè all’insieme di regole, prescrizioni, simboli da adottare, modi di comportarsi spesso inferiorizzanti che la società riserva a chi è nata con un corpo capace di procreare portando avanti una gravidanza.

La cosa riguarda molto noi lesbiche, che nel momento in cui proviamo attrazione precoce per altre femmine possiamo credere di essere “in realtà” maschi. La cosa riguarda sicuramente anche i maschi che provano attrazione per altri maschi, e qualcun altro potrebbe scriverne a partire dalla propria esperienza.

Io ho scelto di parlare alle ragazze sia perché è questa componente del mondo trans che è in forte crescita in molti paesi (ho riportato dei dati sulle adolescenti alla fine del mio libro) sia perché, nel confronto con le compagne di ArciLesbica e con amiche sia lesbiche che bisessuali o etero, è emerso che una grandissima parte di noi ha pensato a un certo punto del nostro sviluppo verso l’adultità di voler essere maschi.

Alcune si facevano in effetti chiamare con un nome maschile, altre – come me – erano “maschiacci” che avevano i bambini come gruppo di riferimento e non le bambine, per poi crescere lesbiche, bisessuali o etero. Perciò ho sentito suonare un campanello di allarme: i minori che manifestano comportamenti identici a quelli che decenni fa erano parte del normale spettro comportamentale delle persone in crescita (rischiando certamente il bullismo, ma siamo sopravvissuti) oggi nei paesi più avanzati sono portati dagli “specialisti del genere”, che hanno un approccio affermative, ovvero che non discute ciò che i minori dicono, per aiutarli a iniziare un percorso di transizione.

In Gran Bretagna è addirittura proibito per legge qualunque altro approccio, come quelli che invece possono mirare a far stare bene una persona nel suo corpo. Anche qui in Italia si etichettano gli altri approcci possibili come “terapie di conversione”, come quelle applicate agli e alle omosessuali per tentare di farci desistere dalle nostre attrazioni.

Ma è la stessa cosa amare una persona del proprio sesso e voler intervenire con farmaci e chirurgia sul corpo sano? Non dovrebbe la transizione essere l’ultima istanza di chi non riesce in altro modo a riguadagnare serenità?

Non è vero che questi minori che non vogliono conformarsi al proprio “genere”, cioè alle prescrizioni sociali su come devono essere i maschi e come devono essere le femmine, oggi grazie al progresso della nostra era liberale e liberata finalmente possano esprimere il loro vero sé che vuole transizionare.

È vero piuttosto che un’opzione che allora era irreale, il “cambiamento di sesso”, cioè i passi socialmente approvati per essere considerati maschi se si è femmine e viceversa, è entrata nell’orizzonte delle possibilità dei minori attraverso le pratiche mediche di altri paesi (Olanda, USA, Svezia ecc.), e la presenza mediatica dei bambini transgender come Jazz Jennings, o il protagonista della serie TV britannica Butterfly e compagnia bella, presenza sempre esaltata e posta come traguardo progressista, da accettare se non si vuole ricevere l’etichetta di reazionaria, giù giù fino alla popolarizzazione dell’idea del “corpo sbagliato” tra pari, educatori e genitori.

Ma un conto sono le scelte fatte da adulti che valutano la transizione nella sua pesantezza farmacologica e chirurgica nella loro piena capacità di intendere e volere, e la scelgono come rimedio a un disagio che non ritengono di poter sconfiggere in altro modo. Un altro conto è procedere a passi azzardati quando ancora non si è nemmeno vissuto nel corpo che si vorrebbe cambiare.

I medici dicono che i bloccanti della pubertà sono reversibili, che c’è molta esperienza fatta su bambine con lo sviluppo troppo precoce. Ma un conto è intervenire quando lo sviluppo precoce mette in pericolo l’organismo (se lo fa). Un altro conto è bloccare lo sviluppo fisiologico: che indicazione medica esiste per procedere a ciò? La “disforia di genere” secondo il DSM-5?

A una presentazione a Milano mi è stato contestato che io non ho mai sofferto di disforia di genere, quindi non posso capire. Eppure secondo i criteri diagnostici ne ho ben sofferto. Come ho scritto sulla rivista PaginaUno: “Per il manuale diagnostico DSM-5, adottato negli Stati Uniti e punto di riferimento anche in Italia, è sufficiente questo: ‘Un forte desiderio di essere trattato come appartenente al genere opposto (o a un genere alternativo diverso dal genere assegnato)’ unito a ‘una forte convinzione di avere i sentimenti e le reazioni tipici del genere opposto (o di un genere alternativo diverso dal genere assegnato)’.

Questo mi pare includere tutte le donne femministe, o comunque consapevoli della limitazione del ruolo di genere femminile” (“I trans-umanisti e i mercanti di ormoni”).

Non c’è alcun fattore biologico, fisico, che distingua chi vuole diventare trans dagli altri, né se si tratta di minorenni né di maggiorenni. Prima di pensare di essere qualcosa di diverso da quello che dice il proprio corpo è bene maturare, confrontarsi con modelli diversi di adultità sessuata, lavorare sull’omofobia interiorizzata e sull’odio di sé – che la società dispensa a piene mani a chi nasce in un corpo femminile – ma anche semplicemente essere lasciati in pace nella libera espressione di genere, senza che questo debba significare che si cambierà sesso da adulti (e quindi meglio anticipare la transizione perché il corpo è più modellabile, dicono i medici).

La tesi della Piccola Principe, infatti, è molto semplice: non si danno ormoni ai minori, non si danno bloccanti della pubertà, non si procede a cambiamenti di corpi che ancora non si sono sviluppati, di bambini e giovani che non sono nemmeno maggiorenni, quindi legalmente non possono agire in moltissimi campi, non avendo la maturità di un adulto, come non ce l’hanno per dare il consenso a una trasformazione farmacologica e chirurgica – negli USA si fanno mastectomie su ragazze di 14 anni.

È sconcertante che Camilla, la famosa madre del bambino in rosa, dopo aver lottato per la libertà di espressione di suo figlio, sul suo blog parli di “infanzia trans” (ma suo figlio non diceva di essere anche una bambina?) ed esulti per l’approvazione in Italia dell’uso – fuori prescrizione, a vostro rischio e pericolo – di un farmaco antitumorale come bloccante della pubertà.

Davvero è così progressista, liberale e liberatorio far rientrare i piccoli non conformi rispetto al genere nella massima conformità e normalizzazione, trasformandoli in esponenti del genere opposto con il loro sesso modificato di conseguenza?

Non lo è, non bisogna farlo anche e soprattutto perché i presunti “bambini trans” sono indistinguibili da quelli che da grandi diventeranno gay o lesbiche (o bisex o etero). Lo ammette anche la rivista Medico e bambino dando notizia dell’approvazione della triptorelina per bloccare la pubertà: “Dal punto di vista clinico sarebbe importante riuscire a discriminare prima dell’inizio della pubertà tra quei bambini che continueranno a manifestare disforia di genere (persisters) e quelli in cui invece la disforia di genere scomparirà (desisters), ma attualmente non è chiaro quando e come la disforia di genere in infanzia persista o desista in adolescenza e in età adulta” (“Disforia di genere e dintorni” di Gianluca Tornese, Massimo Di Grazia, Anna Roia, Giovanna Morini, Dora Cosentini, Marco Carrozzi, Alessandro Ventura, n. 7, 2016, p. 441).

Persino tra le bambine che manifestano un fortissimo disagio per essere femmina, e un’avversione verso i propri genitali (disforia di genere in senso stretto) è solo una minoranza a diventare trans, come dicono gli articoli che cito nelle “Risorse”.

Starei meglio se mi avessero spinta a cambiare sesso? Non credo affatto.

 

 

Risorse:

Daniela Danna: La Piccola Principe. VandA ePublishing 2018, ebook (disponibile anche in cartaceo in alcune librerie di movimento).

Sull’evoluzione dei minori “non conformi rispetto al genere” in adulti gay e lesbiche: Li G, Kung KT, Hines M.: “Childhood Gender-Typed Behavior and Adolescent Sexual Orientation A Longitudinal Population-Based Study”, Developmental Psychology 2017 Apr;53(4):764-777 (https://www.researchgate.net/publication/313890859_Childhood_Gender-Typed_Behavior_and_Adolescent_Sexual_Orientation_A_Longitudinal_Population-Based_Study).

Sull’impossibilità di distinguere tra minori “trans” e non: K.D. Drummond et al.: “A follow-up study of girls with gender identity disorder”, Developmental Psychology, 2008;44(1), pp. 34-45, riassunto in http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/18194003/

Sull’influenza del bullismo omofobico nel far identificare gli adolescenti non conformi come trans: Dawn DeLay e al., “The Influence of Peers During Adolescence: Does Homophobic Name Calling by Peers Change Gender Identity”, Journal of Youth and Adolescence, 47(3), 2017, pp. 636-49.

Sulla suicidalità, la minaccia con cui si vuole far passare il trattamento medico per i minori “trans”, con statistiche gonfiate e il suggerimento che questa è l’arma vincente per convincere genitori dubbiosi sulle “cure”: Hacsi Horváth: “The Theatre of the Body: A detransitioned epidemiologist examines suicidality, affirmation, and transgender identity”, dicembre 2018 in https://4thwavenow.com, il sito di “Una comunità di genitori e altri preoccupati della medicalizzazione dei giovani non conformi al genere e della disforia di genere che si sviluppa improvvisamente nell’adolescenza (ROGD)”, che è soprattutto vissuta da femmine. Nella lettera a Panorama di un numero impressionante di associazioni LGBT che credono all’esistenza dei bambini trans si rimanda a un documento di Transmediawatch dove il sito è diffamato come religioso e insultato come “TERF” (Trans-exclusionary radical feminism) – eppure non è difficile aprirlo e leggerlo.