In febbraio si È svolto a Torino un incontro di associazioni promosso dal Coordinamento Torino Pride lgbt. L’obiettivo era uno solo, ovvero quello di far ripartire il confronto tra l’associazionismo italiano, oggi rapsodico e inconcludente.
L’incontro è stato introdotto da una serie di interventi, tra cui quello dei rappresentanti delle Federazioni lgbt spagnola e irlandese, quello di ILGA Europe e del Servizio lgbt del Comune di Torino.
Si è discusso molto di come e perché si dovrebbe continuare a discutere insieme, possibilmente producendo iniziative politiche comuni. E su questo tema ci si è lasciati, contando su ulteriori momenti simili a questo che facciano fare un ulteriore passo avanti verso una Federazione, un Coordinamento, una Consulta, un organismo insomma, formalizzato, con regole precise di partecipazione e dialogo.
All’ordine del giorno non c’era la questione dei pride in Italia: se ne è parlato (e non poteva che essere così) ma nulla è stato messo in votazione (ma su niente non solo sui pride).
Solo alla fine dell’incontro, per non più di mezz’ora, dopo un intervento del rappresentante del Campania pride sono intervenuti i rappresentanti di alcune associazioni (Arcigay e Arcilesbica innanzitutto) per chiarire cosa avevano deciso nelle rispettive sedi in merito al pride 2014.
Nessun voto, quindi, su questa vicenda, ma la semplice constatazione che alcune associazioni ritengono che non ci siano le condizioni (per molti motivi) per definire Napoli o Roma come sedi di un pride nazionale 2014. Ma che esistono altrettanti buoni motivi perché entrambi i pride, e magari tutti gli altri che si organizzeranno ricorrendo alla formula di “onda pride”, ovvero di pride organizzati nella stessa giornata in tutta Italia, si possano svolgere col massimo successo possibile. Durante l’incontro, infine, è stata avanzata la proposta di costruire un gruppo di lavoro stabile proprio sui pride. Punto.
Come è potuto accadere, quindi, che circoli sul web questa panzana che a Torino si è votato contro un pride nazionale 2014?
Questa fesseria si spiega solo interpretando la tensione, mai sopita, all’interno del movimento, che non riesce a individuare né una sede adeguata e legittimata a decidere se in Italia ci può essere un pride nazionale o no (e Torino non era questa sede) né un metodo condiviso e trasparente per individuare la sede della manifestazione.
Forse si ricorderà il fallimento del tentativo di alcune associazioni nazionali per “istruire” attraverso candidature pubbliche (e pubblica discussione) la sede del pride nazionale 2013 e il faticoso contorsionismo con il quale si trovò un consenso su Palermo. Fallimento che ha le sue radici sia in alcune ingenuità del metodo seguito sia nella disastrosa assemblea romana che decretò la non accettazione del metodo individuato ma, soprattutto, l’impossibilità di dialogare su questo tema.
È una situazione francamente assurda perché esiste, che io sappia, solo in Italia. Solo da noi, infatti, ci si scontra sull’etichetta di “nazionale”, senza trovare, ripeto, né una sede legittimata a decidere né un metodo condiviso. E il tono delle polemiche dilagate su web dopo l’incontro torinese, che ha fatto rimbalzare fantasiose ricostruzioni e decisioni mai assunte, la dice lunga sul fondo di isteria che accompagna ogni tentativo di dialogare. Ogni volta che si affronta il tema non si riesce a gestire una discussione pacata sui pro e i contro in merito all’organzzazione di eventi così significativi per chi vi partecipa.
Se posso esprimere una considerazione personale, inoltre, la storia dei pride italiani fa si che in questo momento storico, ripeto in questo momento storico, le patologiche dinamiche che accompagnano queste decisioni sono nefaste per le relazioni tra associazioni e portano agli organizzatori dei pride poco valore aggiunto.
I pride, infatti, quando sono un successo lo sono soprattutto per la capacità di coinvolgere interamente la città ospitante, con tutta la carica di cambiamento che il coinvolgimento riesce a esprimere. E purtroppo nessuno dei nostri pride è riuscito a scalfire la situazione nazionale dove, certo, la visibilità e aumentata, ma i diritti no. Non è soprattutto di questo che si deve imparare a discutere, ovvero di come scalfire la situazione italiana, e non su come organizzare un pride, per quanto bello e partecipato possa essere?
Spero che l’incontro di Torino possa avere un seguito, anche per rispetto di coloro che vi hanno partecipato e di coloro che hanno creduto, e lavorato, in questi anni, affinché l’associazionismo italiano glbt abbandonasse la masochistica frammentazione di cui è preda. E spero che il gruppo di lavoro sui pride trovi un sua modalità di lavoro. Su questo tema vale la massima di Gramsci, pessimismo della ragione e ottimismo della volontà!