Ci ha lasciato Mariella Gramaglia, una figura di spicco delle istituzioni romane che si è battuta per i diritti lgbt. Pubblichiamo il ricordo di Andrea Ambrogetti.
Mariella ci mancherà.
La Redazione di “Pride”
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Tre sindaci di Roma (Rutelli, Veltroni, Marino) e tantissimi cittadini oggi pomeriggio in Campidoglio per l’ultimo saluto a Mariella Gramaglia, assessore alle pari opportunità, ma non solo, dal 2001 al 2007.
Era nata femminista (e fu anche direttore di “Noi Donne”) qualche decennio prima, in un’Italia molto diversa da quella che dopo il Giubileo del 2000 si ritrova Berlusconi a Palazzo Chigi, l’euro in tasca e la paura per una globalizzazione molto più amara del previsto. Ma Mariella non tirò i remi in barca, non si rifugiò in qualche casale di campagna, anzi raddoppiò il suo impegno a favore dei diritti dei cittadini e degli esclusi. Con lei il Comune di Roma visse una nuova giovinezza: invitava le donne che avevano subito l’acidificazione del volto in Pakistan non per un passaggio televisivo ma per stabilirsi nella città eterna con armi e bagagli, reinventò tutta la comunicazione pubblica a misura di cittadino, dagli sms agli spot radiofonici, chiuse il vecchio “centralino” e lo trasformò in un moderno contact center che rispondeva 24 ore su 24, deliberò il passaggio all’open source e al wi-fi e la notizia andò sulle home page di mezzo mondo.
La sua visione dei diritti dei cittadini e dei diritti civili era molto ampia, sempre più moderna, secondo le linee di quel mainstreaming che è pane quotidiano a Londra e a Parigi e che in Italia è sconosciuto ai più.
Se il movimento gay italiano ha avuto qualche alleato nelle istituzioni, uno di questi è stata Mariella (dopo aver concesso un patrocinio non l’ha mai ritirato).
Il suo metodo di lavoro implicava l’ascolto di tutti gli stakeholders (altra parolina di cui la politica italiana dovrebbe fare tesoro), infatti riuniva ogni mese il tavolo con tutte le associazioni gay di Roma, la modernizzazione della macchina comunale e la crescita di una democrazia paritaria, dove nessuno si senta escluso. Si prodigò come non mai per portare le decine di migliaia di immigrati extra UE residenti a Roma a eleggere i loro primi consiglieri “aggiunti”.
Non fece una piega davanti alle levate di scudi per la campagna di affissioni dal titolo “Le differenze sono normali, i pregiudizi no” con la quale tappezzammo Roma e tenne un memorabile discorso al termine della fiaccolata con la quale in Campidoglio ricordammo una vittima dell’omofobia violenta, Stefano Seganti. Disse: “la città delle differenze è la città di tutti” e i presenti si sciolsero in un abbraccio liberatorio, anche quelli che fino a pochi minuti prima tremavano per le reazioni della curia e della destra oscurantista.
Ma i suoi orizzonti erano sconfinati e quindi partì per l’India, dove partecipò a un progetto della Cgil di sostegno alle donne lavoratrici. Tornata in Italia si è gettata a capofitto nell’avventura di “Se non ora quando”, ancora donne, che, a essere sinceri, dovremmo ringraziare per aver dato un contributo a stanare Berlusconi dalle sue ville quando nessuno sapeva più come fare.