Scegliere la meta per le ferie estive è solitamente un’operazione che si muove attraverso progressioni duali di scelte binarie: da solo o in coppia, relax o devastazione, mare o montagna ma la più importante di tutte è scegliere tra una vacanza gay o no e nel dubbio io ho optato per quella il cui aggettivo “omosessuale” è assolutamente riduttivo. Il Circuit di Barcellona a mio avviso è tra le mete più estreme, non tanto da un punto di vista morale quanto da quello puramente fisico.
Si tratta infatti di una 10 giorni di feste su feste, tutte imperdibili, che si susseguono senza soluzione di continuità sottoponendoti a una versione omofestaiola di Survivor. Il fatto poi che in Spagna hanno questo viziaccio brutto di cominciare tutto sempre tardi, dopo neppure un giorno ti si confonde il fuso orario. Con feste che partono alle 3 del mattino e after che finiscono alle 17 inizi ad accusare disturbi da jet lag come neppure ti avessero catapultato di colpo in Tasmania.
Allargando però lo sguardo, diciamo che in effetti non esistono mete propriamente “non gay” dal momento che anche nel deserto del Gobi un omosessuale con una discreta provvigione di alcol e un iPod ben caricato sarebbe in grado di trasformare quella landa desolata in una perfetta destinazione omoricchiona, ma ci sono posti che più di altri gridano “omomecca” e in questo, pochi altri luoghi come Mykonos riescono a consumarsi le corde vocali. Appartenente a una nazione dove da millenni si continua a confondere l’anatomia dell’ano con quella della vagina, quest’isola è da decenni meta della transumanza globale degli omotraveller.
Il pubblico che si riversa sulle sue coste solitamente è quello un po’ più ripulito, composto da coloro che mettono camicie di lino la sera, guardano languidi i tramonti dalla terrazza dell’Hotel Elysium sorseggiando un Martini e “come ti chiami?” non è l’ultima delle domande che pongono al ragazzo con cui si sono appartati dietro la chiesetta del porto per un fugace simposio sulla poetica di Anacreonte. A fare la selezione è anche il costo della vacanza dato che con quello che paghi per una settimana in agosto l’Unicef ci costruisce 4 campi per rifugiati e 3 asili nel Burkina Faso. A questo va aggiunto anche lo spiacevole inconveniente di ritrovarci esattamente le stesse persone che si pensava di aver abbandonato in patria ricreando così gli stessi identici meccanismi di controllo reciproco da cui si sperava di esser fuggiti.
Effettivamente l’isola è splendida e il mare limpido ma è pur vero che quello che muove gli omosessuali non è quasi mai la bellezza del luogo ma il pullulare di altri gay e anche si trattasse del nocciolo della centrale nucleare della Springfield dei Simpson, ci si riverserebbe tutti in massa se si venisse a scoprire di una colonia di omoricchioni asserragliati lì dentro.
Se la Grecia chiama, il Salento risponde con Gallipoli che è la versione frisella e ricci di mare di Mykonos. Anche qui la natura è incontaminata, i tramonti mozzafiato e il mare specchiato e anche qui la spiaggia è talmente piena di omosexy che per trovare un lembo di posto dove stendere un telo devi muoverti a gennaio.
Qualche centinaio di chilometri più a nord invece c’è un altro polo d’attrazione: Torre del Lago, che se vogliamo è la sala commerciale delle mete turistiche omocentriche. In effetti andarci a 30 anni senza alle spalle una base di almeno 4 anni di analisi interamente dedicati all’accettazione dell’età che avanza potrebbe essere un colpo piuttosto duro. Il mare non è certo il più bello del mondo quindi, almeno qui, chi ci va ammette senza troppe ipocrisie di farlo per vedere dei manzi in costume e per ballare la sera a ridosso della spiaggia le 34 versioni remix di Bad Romance nuotando a rana in vasche di Negroni.
Ma che il dio delle vacanze invertite mi folgori adesso se non dovessi menzionare anche la larghissima schiera di omosessuali che adorano definirsi “alternativi fuori dai soliti giri” e che puntano verso altre rotte. Il loro rifiuto del mainstream infatti è un’impresa encomiabile e di conseguenza, si sottopongono spesso a dei tour fly&drive su qualche isolotto grosso quanto un avanzo di torta nel piatto di Platinette, dispersa a nord, verso la penisola scandinava, con 5 gradi costanti. I loro reportage fotografici fanno concorrenza ai documentari più estremi di National Geographic e li vedi ritratti mentre salutano con la manina, nel bel mezzo di una tormenta, abbozzando sorrisi intirizziti dal freddo maledicendo mentalmente i loro amici massificati che però se ne stanno sulla spiaggia del Buco di Ostia a giocare a beachvolley, bevendo birre ghiacciate. Altri invece, ancora più estremi nella loro ricerca di esperienze “alternative”, decidono di affrontare con spirito straussiano l’oriente caldo e suggestivo per poi ritrovarsi in qualche posto di polizia dell’Oman a implorare e spergiurare che il loro compagno di viaggio altri non è che un cugino e non il fidanzato pur di non venir condannato a 6 mesi di lavori forzati per via di una delle mille leggi coraniche di quei posti. Ma, estremo per estremo, allora tanto vale prendere spunto dalle vacanze delle nostre sorelle lesbiche e passare un paio di settimane in qualche campo d’addestramento sulle montagne dell’Appennino esercitandosi in combattimenti corpo a corpo e dedicandosi alla caccia del cervo con le cerbottane. Quanto meno al ritorno, la testa del povero animale da appendere sul caminetto di casa è pur sempre un souvenir d’effetto.