Al culmine di una brillante carriera di attore, drammaturgo e regista, Tindaro Granata, dopo il successo di Geppetto e Geppetto dove due padri gay crescono un figlio, interpreta la protagonista della Bisbetica Domata: dai difficili inizi al confronto con i tabù.
(prima pubblicazione Pride aprile 2018)
È stato il primo a portare sulla scena gioie e dolori di due uomini che decidono di avere un figlio: Tindaro Granata ha scritto, diretto e interpretato Geppetto e Geppetto, pièce che da due anni è in tournée nei teatri e per la quale ha vinto l’ambito premio Ubu (in scena il 26/5 per il pride di Padova e il 28/5 in occasione del pride di Lugano). L’omogenitorialità è solo una tappa di un percorso artistico che l’ha sempre visto misurarsi drammaturgicamente con temi scomodi come la pedofilia nell’ambito familiare. La sua ultima sfida è quella d’interpretare Caterina nella Bisbetica Domata di Shakespeare, uno dei personaggi con cui grandissime attrici da secoli hanno fatto i conti. Prodotta dal Lac di Lugano e dal teatro Carcano di Milano, dopo il grande successo di critica e pubblico nelle due città, girerà l’Italia nella prossima stagione.
Il tuo approdo al teatro è stato avventuroso e preceduto da mille altri lavori…
La mia vera vita inizia a 19 anni quando ho lasciato la Sicilia e ho detto ai miei che avrei fatto questo mestiere: per protestare contro la loro comprensibile opposizione sono andato via da casa e mi sono arruolato nella marina militare. Volevo dimostrare alla famiglia quanto ero forte ed è stato un anno per me fondamentale: ho capito che cosa sono la solitudine e il silenzio. Una volta sbarcato (era il 1999 e avevo 21 anni) mi sono traferito a Roma dove ho fatto tutti i lavori immaginabili perché non volevo farmi mantenere dai genitori. Prima ho fatto il commesso in un negozio di scarpe e nel frattempo cominciavo a frequentare un corso per attori amatoriali.
Quindi era sbocciata la vocazione per il teatro?
Non ancora. Il sogno era quello di fare l’attore di cinema, dopo che da adolescente mi ero innamorato del neorealismo e della commedia all’italiana. La mia prima volta su un palcoscenico fu al teatro Quirino per un provino con Massimo Ranieri al quale mi aveva indirizzato un collega del corso: lui mi scelse per il Pulcinella di Manlio Santanelli e così il teatro entrò nella mia vita, senza più lasciarla. Non avendo fatto nessuna scuola, mi sono dovuto costruire da solo un percorso rispetto alle mie potenzialità. Poi, a causa di un brutto incidente, mi sono fermato per quattro anni e ho ripreso a fare il commesso e il cameriere, ma sentivo che sarei tornato sulla scena.
E infatti…
…ancora una volta il caso giocò a mio favore. Cinque anni prima avevo fatto un provino senza esito con il regista Roberto Guicciardini: si ricordò di me e mi chiese di fare una sostituzione nell’Enrico IV di Pirandello. Negli stessi mesi ho conosciuto il mio compagno, il regista Carmelo Rifici, e ci siamo trasferiti a Milano, fondando la compagnia Proxima Rex. È qui che ho maturato la convinzione di fare l’attore anche per una scelta civile e politica e ho capito che quel ruolo non mi bastava.
Hai così scoperto la tua vocazione per la scrittura.
Sì, sollecitato in un laboratorio teatrale a scrivere un brano per farmi conoscere dal gruppo, in una notte ho composto Antropolaroid, un monologo che in seguito è diventato spettacolo. Ho iniziato così il lavoro di drammaturgo, regista e attore, mettendo in contatto lo spettatore con il mio mondo interiore. Era infatti un testo autobiografico, basato sulle storie che i miei nonni e le persone anziane mi raccontavano quando ero bambino. Mi sento detentore del patrimonio di una società arcaica ora scomparsa e la cosa mi dà forza. In seguito ho rivolto la mia attenzione ai tabù che mi mettono paura e curiosità e che la società non riesce a affrontare, per esempio la pedofilia: ho preso spunto da un fatto di cronaca per scrivere Invidiatemi come ho invidiato voi.
E arriviamo poi a Geppetto e Geppetto…
Per me significa tante cose: volevo capire cosa significa essere figli oggi e che rapporto c’è tra un padre e un figlio quando non sono legati biologicamente. Non tutti gli omosessuali diventeranno padri biologici dei loro figli e mi affascinava sia l’idea di vedere queste famiglie proiettate nel futuro sia capire che figlio sono stato io.
Infine l’incontro con Caterina.
Le sue parole dette da un uomo diventano più forti e dure: negare la sua femminilità per poter far parte di una società maschilista assume un valore politico oltre che artistico. In questo periodo di enormi progressi, è sempre presente la lotta tra i sessi: atavicamente l’uomo ha invidiato la donna in quanto creatrice della vita. Ho preso ispirazione dalle donne siciliane: austere, rassegnate ma anche determinate a non soccombere. Trovo una similitudine tra Caterina e le battaglie degli omosessuali: entrambi hanno dovuto sottostare a enormi soprusi per poi poter affermare se stessi.
E in amore sei più Caterina o Petruccio?
Sono io il dittatore, la parte forte della coppia, nonostante il mio aspetto dolce e fragile. Ho bisogno del corpo, della carne, di tutto quello che è il mio essere maschio e femmina. Credo nell’incontro delle anime: la mia relazione compie 13 anni, costruita con la quotidianità ma sempre imprevedibile.