“I tempi di approvazione della mia legge sulle unioni civili? Al 98% all’inizio del nuovo anno, tra gennaio e febbraio, almeno l’uscita dal Senato”. Lo ha detto la senatrice del Partito Democratico Monica Cirinnà ospite di Radio 24 smascherando l’ennesimo bluff di Matteo Renzi che aveva promesso, dopo ben nove rinvii, il voto al Senato entro il 15 ottobre scorso.
Lo avevamo previsto su queste pagine e potremmo riutilizzare parole di sdegno e indignazione per descrivere l’oscena incapacità dei politici nostrani, ma spostiamo il focus perché quanto non accade in Parlamento non è il fulcro del problema. Il problema è anche fuori dai palazzi romani e dalle segreterie di partito, e sta l’assenza di una risposta sociale coerente all’inerzia di questo Governo su questo tema in particolare, e su macrotemi come immigrazione, economia, lavoro, crisi, Europa, guerra…
Il movimento gay è catatonico quanto il Governo e non basta un comunicato stampa, un tweet o un post su Facebook di indignazione per realizzare una battaglia politica. Il circolo Mario Mieli è andato a congresso, Arcigay eleggerà questo mese i suoi rappresentanti, rituali inerti nel vuoto pneumatico di contenuti prodotto dal movimento gay italiano negli ultimi anni.
I pride, nonostante le folle, non spostano di una virgola la ferma opposizione dei partiti a garantirci dei diritti. Le truppe dei Sentinelli in piedi hanno provato a movimentare la scena chiamando a raccolta i laici con una manifestazione, il 3 ottobre scorso a Milano, che ha ottenuto qualche titolo di giornale ma è stata archiviata rapidamente senza colpo ferire. La strategia giudiziaria che ha ottenuto sentenze a noi favorevoli dei tribunali grazie al lavoro di Rete Lenford fortunatamente prosegue, ma è sconfortante constatare che i contenuti della legge in discussione non sono nulla di più di quanto ci hanno già garantito i tribunali. Quella penosa proposta di legge, se mai approvata, potrebbe persino risultare più restrittiva, e quindi garantirci meno diritti di quelli che per i giudici devono esserci riconosciuti.
E i nostri nemici, dopo l’exploit scenografico delle Sentinelle in piedi nelle piazze, ci stanno facendo arrancare per mettere un cerotto alla diga del gender, un mostro ideologico inventato a tavolino per spaventare gli elettori e per impedire una discussione serena sui diritti gay. Il fronte omofobo si è incontrato a Roma per lanciare la strategia del futuro: “Costituiremo un coordinamento nazionale anti-gender… abbiamo intenzione di inviare migliaia di raccomandate al ministero… il 4 dicembre inviteremo le famiglie a non mandare i figli a scuola per la giornata chiamata ‘Prima la famiglia’”. Nulla di innovativo o eclatante, ma è qualcosa. A queste miserie l’unica risposta è il nostro silenzio, osceno quanto l’inazione dei politici e i rigurgiti degli omofobi.