E finiamola col dire che è vecchia, che inciampa negli strascichi e ruzzola dai gradini come se non avesse più calcio nei femori, che il “rifatto” supera in centimetri quadrati l’originale, che “chissà se poi in tour è tutto playback perché intonata non lo è mai stata troppo”: beh, buonanotte a tutte le Miley, le Gaga, le Katy Perry, se si muove la “macchina da guerra” Ciccone, il resto comparabile dello showbiz impallidisce.
Arriva anche da noi il Rebel Heart tour (19, 21 e 22 novembre a Torino), partito il 9 settembre a Montreal, da gennaio 2016 tra Messico, Cina, Australia e, tanto che c’è, anche la Nuova Zelanda…
Ora, vi pare possibile, dopo una carriera pluritrentennale che ‘sta “anziana” riesca a metter su un circo vagante con numeri e repertorio divisi come un’Opera? È ovvio che non ci sia che da chiedersi perché andare a vederla senza darsi come unica risposta una chilometrata di “sì”.
Dalle icone non si scappa, se poi le medesime sono anche così magnanime da fare una specie di “porta a porta” nel globo terraqueo, eleviamo una prece a queste martiri dell’adorazione altrui e consumiamo, senza remora, il nostro peccato goloso, con l’inesausta fame di chi, come lei, non ne ha mai abbastanza. Perché tanto giubilo, perché tanto fervore nell’approssimarsi della sua “Apparizione”?
Sfoglio, come un Vogue dei mesi scorsi, ciò che ci arriva dai luoghi in cui già si è resa manifesta: il Daily News ha osservato che l’aspetto più impressionante del tour non era tanto l’immaginario provocatorio e le prestazioni vocali della cantante, ma il fatto che “Madonna riusciva a malapena a smettere di ridere. Questo ha confermato che rimane tuttora la regina del pop mondiale, ed è riuscita ancora una volta a confermare il suo essere trasgressivo, ribelle, ma anche sensuale e imbattibile per quanto riguarda le sue performance. È riuscita a tenere in piedi una carriera trentennale fantastica, senza precedenti e che non ha mai fallito”. Il Washington Post ha scritto che “Madonna è riuscita a rimanere fedele alla sua immagine di donna trasgressiva e audace come non mai”.
L’esibizione di Madonna al Madison Square Garden è stata elogiata e osannata da tutti i media e dai tabloid, riscuotendo un grosso impatto sul pubblico. Alex Needham di The Guardian ha dato alla performance un voto di cinque stelle, aggiungendo: “Madonna stasera ha davvero infiammato New York. Ha affermato ancora una volta di non avere eguali”.
Anche la recensione stilata da Rob Sheffield per Rolling Stone ha elogiato la popstar per “la sua spontaneità e la stravaganza che porta sul palco ogni volta, facendoci dimenticare la sua vera età”.
La rivista Billboard ha dato al concerto un voto di quattro stelle, notando che “il suo spirito creativo ha raggiunto il suo massimo splendore”; anche il New York Times ha detto la sua, dichiarando di essere rimasto colpito “dalla imponente scenografia e dal corpo di ballo perfetto”.
La questione non è più l’età come tale, ma il “salto della quaglia” che Louise Veronica ha fatto fare al tempo intero (“la menopausa non so nemmeno se mi sia venuta”).
Sua Madornale autorità di Pop Star non ammette un consenso che non sia quello che si riserva a chi come lei, ha tranciato più epoche col segno, infallibile, di una progettazione fantastica, di un’elaborazione di vita (e canta e balla, e recita e scrivi, fai dei figli, corri, fai un paio di piroette se non ne hai ancora abbastanza), fai fare a te stessa e ai fan che ne hanno approfittato un trip di quelli incredibili, altro che Mdma, una droga dei sensi dove la base è la “pianificazione”…
Ecco in cosa ci appare sublime, al di là di quel che fa e di come lo fa, nessuna come lei ha organizzato meglio la popolarità, il successo, il cambiamento tirando ogni volta sia le corde della sostanza (e/o dei generi musicali affrontati, dai quali esce comunque e sempre la “sua” declinazione) sia quelle della forma, la sua “parola magica”, addirittura, solo per lei, con un doppio significato.
C’è la “forma” fisica per far prendere “forma” visuale dei suoi cambiamenti, dei costumi, della sfacciata propensione a esibirsi, pratica peraltro inevitabile in chi, come lei, di mestiere fa questo, ma è che a lei piace, e se lo fa, lo fa bene.
Può avere ammiccato con tutte (da Miley alla Germanotta, cosa vuoi, un bacetto lesbo mica si nega a nessuna delle tante “famose anonime”) ma è che Ciccone ha l’Autorità di un Vate e la dedizione pura a utilizzare la volontà come un vero ariete, l’unica per entrare con forza nella Storia, che sia poi della musica, del costume, dello showbiz è anche un po’ lo stesso.
Non sarà uno scivolone o un tacco storto a calmare “l’evoluzione” e il giochetto non sarà “oddio, se ne balla un’altra di seguito siamo sicuri che non le serva una bombola d’ossigeno nei dintorni?”, quanto, piuttosto, chi prima di lei, chi dopo di lei?
Quasi sessant’anni, roba che Marlene Dietrich già cantava, ferma come davanti alla fermata di un tram, con Burt Bacharach che le suonava il piano sotto mentre lei, imperlata nell’abito sagomato, sillabava Where Have All The Flowers Gone, e felicitarsi col destino della ruota temporale che ci ha fatto girare gli anni insieme al crescere dei suoi.
Non ho la più pallida idea se ai tempi di Cleopatra ce ne fossero altre sul “genere”, ma Nefer-non-so-cosa non ha avuto la vita eterna della mummia Cleo, la più “truccata” del Nilo. Quella dell’imperatrice è un’attività oggi assai raramente praticata con credibilità dalle “aspiranti”, tanto brave, tanto trendy, ma senza la stoffa per “svoltare” con tanto di statua, mausoleo e quel che ne segue. Un po’ come il “da qui all’eternità” di lady Diana, l’unica vera antagonista e/o complice, le uniche due ad aver dato cibo alle nostre affamate bocche di “trangugia-icone”.
Non scappi che, a suo modo, anche la gestione della vita cosiddetta privata La Maddy se l’è soppesata bene, tra figli con “bboni” e matrimoni sparsi come grani della corona del rosario, ma pronta, ben prima di Instagram a mettere in piazza quel che decideva si dovesse vedere o sapere e poi stop, e poi di nuovo, un tira e molla. Un disco quasi ordinario e poi un capolavoro, il manuale della star riscritto con la sua mutevolezza, non ingabbiabile, nemmeno ora che il “declino” potrebbe passarle vicino. Anche l’ipotesi di una cattiveria simile non servirà comunque a farla “volare” fuori dall’atmosfera.
La sua “rivoluzione” non finirà con la sua carriera, sempre che lei decida di interromperla (ma non siamo tutte Greta Garbo…), e nemmeno se non correrà più quella decina di chilometri al giorno per mantenersi in forma, il suo “segno” è di quelli che il “segno” lo lasciano sul serio: ma, giusto per tornare alle “genesi” della Ciccone, una che fa di Madonna un nome d’arte per lo showbiz o in testa ha la zucca di Halloween o viaggia su un’altra dimensione, dove fede e denaro si mescolano alla “ribelle per sempre”, ma anche alla madre che chiama il figlio Rocco (come Siffredi) e non Christo come ci si sarebbe aspettati, con un uso o istintivo o molto accorto della provocazione, parola e pratica dal suono perfino odioso, se appiccicato a qualcun’altra che sì, ci prova, ma poi rimane una meteora sia del costume sia della musica.
Mi piace pensare che il suo seguito “globale” sia declinato, “in ogni terra, in ogni luogo, in ogni lago”, in maniera differente e personale, offrendo al “consumatore” di idoli e icone la “sua” versione di Madonna, questo suo ondeggiare dalla dance alla ballad, da un cinema non sempre memorabile ai libri di fiabe per bambini, passando per centinaia di foto dove la nudità è solo un pretesto per trovare altre Madonne (una Ma-trioska, più che Ma-donna) in un gioco all’infinito che è anche quello del Rebel Heart tour, il decimo mondiale, il più costoso del 2015. Giusto per dare un senso a se stessa e al proprio ruolo, la canzone d’apertura è Iconic, quella di chiusura Holiday, un viaggio quasi al contrario con tante fermate a nome La Isla Bonita o Material Girl, ma c’è anche una sorprendente La vie en rose e il gioco di rimando a tanti specchi con Piaf (o se volete anche con Grace Jones) è di quelli che fanno pensare non solo a una Lucky Star ma anche (questione di feeling, se nel terzo atto ci sono di fila Into The Groove, Everybody e Who’s That Girl…) all’unica music machine di cui non ti stancheresti mai di fare replay…
Già, lei è Madonna, quindi la domanda Who’s That Girl? rimanda a un’unica risposta. Quella che una “ragazza” di spettacolo sia diventata, per suo volere o nostro ancora non l’ho capito bene, una di quelle che cambiano il baricentro dall’interno della società quella occidentale, quella consumistica, alla quale lei appartiene e di cui si rivela “ambasciatrice” anche quando “esce” dalla gabbia, uno degli elementi-chiave della scenografia del tour.
Come dire, un cuore ribelle batte nel petto, un corpo come il suo guadagna facilmente la libertà, produce una valanga di utili e nessuno di questi elementi cozza con gli altri che fanno parte di un “trip” che sembra, come i suoi remix, non finire mai…