Negli ultimi mesi i mezzi d’informazione hanno sollevato un polverone sulla proposta di legge Cirinnà sulle unioni civili. Che dai politici gay viene presentata come un primo passo: “meglio questo che niente”. Abbiamo intervistato Antonio Rotelli, uno fra i militanti più attivi di Rete Lenford (la rete degli avvocati e dei giuristi che si batte per i diritti lgbti), che ci ha dato una valutazione molto meno ottimistica.
Tu sei notoriamente critico verso la proposta Cirinnà. Perché?
Perché credo che sia sbagliato chiedere le unioni civili anziché il matrimonio “come se” si stesse chiedendo un “matrimonio in versione light”, cioè “come se” fossero un primo passo verso il matrimonio. Le unioni civili sono una cosa diversa dal matrimonio, tant’è che in molti paesi sono previste sia le unioni civili che i matrimoni. E da nessuna parte sta scritto che se ottieni una cosa poi otterrai l’altra. Infatti in Italia si sta parlando di darcene una proprio per evitare di darci l’altra.
Questa scelta rinunciataria viene giustificata con l’argomento che non ci sarebbero i numeri in Parlamento per approvare il matrimonio egualitario. La realtà ci mostra che non ci sono i numeri per approvare neppure le unioni civili. Il problema quindi non è il numero di voti, ma la mancanza nel partito di maggioranza di una cultura capace di portare avanti i nostri temi, a qualsiasi livello.
E poi se proprio non posso fare a meno di combattere una battaglia, allora tanto vale che la posta in gioco sia il matrimonio: tanto lo sforzo si sta rivelando esattamente il medesimo, quindi meglio che il premio in palio sia quello che desidero io.
Cosa trovi di sbagliato nella proposta Cirinnà?
La fase emendativa, di cui tanto si è parlato, di fatto non c’è stata. Ad eccezione di un solo emendamento approvato, le modifiche apportate sono frutto di nuove versioni del testo scritte e riscritte dalla relatrice, ovvero sono mediazioni interne al PD. Per arrivare al nuovo testo gli oppositori sono andati a individuare tutte le disposizioni in cui ricorre la parola “famiglia” e a cancellarla, in modo che questa legge conceda unicamente quello che i tribunali ci hanno già concesso o potrebbero concederci, e nulla di più, anzi: cerca di introdurre ostacoli alla possibilità che in futuro possano concederci altro. E una volta stabilito ufficialmente che quelle omosessuali non sono famiglie, e che non lo sono perché così ha voluto il legislatore, i giudici saranno tenuti ad applicare quel principio.
Pensa che per ottenere quel risultato sono andati a modificare perfino la regola sul cognome, per impedire che in caso di vedovanza il coniuge possa conservare il cognome del defunto, cancellando anche il punto in cui si parlava di vedovo o vedova, in modo da poter negare che quell’unione abbia mai avuto lo stesso valore sociale che ha un matrimonio!
E il movimento lgbt ha accettato tutto questo senza fiatare?
L’onorevole Cirinnà ha dichiarato che tutte le modifiche erano state concordate con le associazioni, ma le associazioni sono state solo convocate per comunicare loro quello che il PD aveva già deciso e che intendeva fare. Il PD ha poi strumentalizzato gli incontri che ci sono stati, presentandoli come un dialogo in cui si era concordato qualcosa tutti assieme, costringendo le associazioni a smentire e a ribadire che per loro l’obiettivo era il matrimonio.
Del resto in assenza d’una strategia comune le campagne fatte, che pure ci sono state (pensiamo a quella di Arcigay) non sono riuscite a far parlare di coppie dello stesso sesso come di famiglie. Fin qui sono stati i nostri avversari a proporre i messaggi più decisi. Basti pensare alla campagna denigratoria sulla inesistente “teoria del gender”.
Eppure Renzi ha promesso che la proposta sarà discussa in Parlamento a inizio anno nuovo.
La proposta ha già un iter molto lungo, con rinvii e rimandi che insegnano che non è garantito che a inizio anno l’iter proseguirà senza ulteriori stop.
Sfortunatamente i proponenti della legge non avevano capito che la battaglia che andavano a combattere non sarebbe stata affatto in discesa solo per il fatto di accontentarsi delle unioni civili, ma che visti gli avversari, che ne fanno una questione di principio, sarebbe stata una lotta esattamente identica a quella che avrebbero comunque dovuto combattere se avessero optato per il matrimonio. Scusa se insisto, ma se c’era il rischio di perderla, questa battaglia, allora tanto valeva perderla sul matrimonio. Perché se fai la battaglia sul matrimonio fai anche una battaglia culturale, la stampa e i cittadini sono portati a discutere di uguaglianza, ma se parli di unioni civili parli solo delle differenze fra cittadini eterosessuali e cittadini omosessuali.
In Italia dalla giurisprudenza abbiamo paradossalmente ottenuto molte cose perché la legislazione ci ignora (a parte una norma della legge 40 che ci impedisce l’accesso alla fecondazione assistita), quindi è stata possibile una fecondità d’interpretazioni da parte dei tribunali. Invece una volta che ci saranno le unioni civili avremo paletti piantati intenzionalmente per stabilire che le nostre famiglie non sono come le famiglie eterosessuali, anzi che non sono proprio famiglie, sono un’altra cosa, sono una “formazione sociale specifica”.
Molti militanti, specie in area PD, affermano che se perdi sul matrimonio perdi automaticamente anche sulle unioni civili, quindi resti senza mosse “di riserva”.
A costoro ricordo che dieci anni fa abbiamo già combattuto e perduto la battaglia per i Pacs, però non è che perduta quella battaglia ci siamo preclusi altre strade… anzi. In più il legislatore almeno il diritto fondamentale alla vita familiare lo deve garantire, perché glielo ha imposto la Corte costituzionale e la Corte europea dei diritti Umani.
Ma le stesse persone dicono che sarebbe comunque saggio iniziare a porre una prima base con la Cirinnà, dato che niente impedisce di proseguire nei tribunali la battaglia per ampliarla.
Se quanti affermano che questa battaglia va combattuta e vinta sul piano della politica, agiscono pensando che anche se si fa una cattiva legge tanto poi provvederà la giurisprudenza a correggere gli errori che loro hanno intenzionalmente commesso, io chiedo che cosa ne è di quella “preminenza della politica” che loro hanno sempre presentato come uno scudo per le loro idee.
I politici gay hanno sempre visto male il ruolo della battaglia giudiziaria. E allora perché adesso improvvisamente si spera che sia la giurisprudenza a fare quello che i politici intenzionalmente non hanno voluto fare? Non è una contraddizione?
E poi, stiamo parlando quasi come se questa scelta rinunciataria fin qui avesse pagato, e invece non è stato affatto così. Alle audizioni, il centrodestra è riuscito a far intervenire tutti, compresi coloro che pensano che noi siamo malati, mentre dall’altra parte hanno chiamato anche persone che sostenevano che non si poteva aprire al matrimonio. Nessuno si è mai sognato di chiamare noi tra gli esperti, se non alla fine, tra i vari e gli eventuali, insieme con le associazioni lgbti.
Dopodiché è stato adottato un nuovo testo ancora modificato, successivamente la stessa relatrice Cirinnà ha presentato proposte emendative, tutte peggiorative, eppure non basta ancora: prima di arrivare in Aula è stato presentato un nuovo testo con ulteriori modifiche, ovviamente ancora al ribasso. È lo stesso gioco fatto dieci anni fa coi Pacs/Dico/Didoré/Cus. Non abbiamo imparato nulla?
Che cosa dicono le modifiche?
I cattolici del PD e del centrodestra hanno insistito per differenziare sempre più le unioni civili dal matrimonio: ma l’obiettivo che perseguono è escludere che le coppie di persone dello stesso sesso siano considerate famiglie, ossia quello che diverse sentenze di tribunale hanno già stabilito che sono.
Io sostengo che la battaglia va combattuta per il matrimonio, tuttavia che questa sia la posta in gioco lo hanno capito solo i nostri avversari.
Ivan Scalfarotto sostiene che se non abbiamo ottenuto mai nulla in Italia è stato solo perché siamo stati troppo “massimalisti”: avremmo dovuto chiedere di meno, non di più.
Non si tratta di ragionare in termini di quantità, ma di significato. Gli altri stanno facendo una battaglia di principio: vogliono sancire attraverso la legge Cirinnà che le nostre coppie devono essere trattate in modo differente perché le nostre non sono famiglie. Quindi il problema non è contare quante cose ci danno, il problema è capire cosa questa legge finirà per dire che noi siamo o non siamo.
I nostri avversari stanno combattendo per capovolgere quello che la giurisprudenza ha già stabilito. Eppure quando la politica interviene dovrebbe partire dai principi enucleati dalla giurisprudenza (per esempio, la Corte Costituzionale), e progredire; invece nel nostro caso il gioco dei politici serve solo a farci andare indietro rispetto a quanto abbiamo già ottenuto.
Ma se queste sentenze stabiliscono solo principi astratti, perché fare questi processi?
Non si tratta di questioni astratte; sono princìpi che hanno conseguenze molto pratiche. Per esempio quest’anno il tribunale di Treviso, di fronte a un Comune che non voleva dare le ceneri di un compagno morto al sopravvissuto, ha stabilito, basandosi proprio su quei principi, che i due essendo conviventi da una vita erano una famiglia, e che quindi questo diritto esisteva.
Una volta che la giurisprudenza ha stabilito un principio, esso non rimane sulle nuvole: gli altri giudici lo applicano, e pian piano le applica anche la pubblica amministrazione. Nel caso del riconoscimento della carta di soggiorno a un coniuge dello stesso sesso è bastata una sentenza favorevole a un ricorrente, dopodiché il Ministero dell’interno ha mandato una lettera chiarificatrice che in sostanza diceva: se c’è una sentenza in questo senso, allora d’ora in poi concedete la carta di soggiorno ai coniugi dello stesso sesso. Non è stato più necessario tornare in tribunale, perché la Pubblica amministrazione ha accettato il principio secondo cui quello è un coniuge.
Quindi dobbiamo accettare l’idea che la strategia che passa attraverso il Parlamento e i partiti è fallita, e dobbiamo concentrare gli sforzi sulle aule dei tribunali?
Io non ho mai visto un contrasto fra le due strategie. Sarebbe stato indubbiamente meglio se il legislatore fosse intervenuto e se il movimento avesse ottenuto qualcosa, però essendo un giurista, sono andato dal giudice perché esplicitasse che io ho diritti, e pensavo che questo potesse poi essere di puntello e aiuto a chi fa la politica.
Con amarezza ho dovuto constatare che chi fa la politica, anche nel movimento lgbt, ha sempre visto come fumo negli occhi che intervenissero i giudici. Paola Concia ha parlato espressamente di giudici che si sostituiscono al Parlamento, altri hanno fatto dichiarazioni che parlavano delle sentenze che ci riconoscevano i nostri diritti in termini di “smacco” e “umiliazione” ai politici. C’è una dichiarazione di Sergio Lo Giudice che afferma che, ancora una volta, in materia di diritti civili il Parlamento assiste muto e inerte alla definizione dei diritti da parte dei giudici… Ma i giudici non hanno inventato nulla, hanno solo fatto parlare il diritto, hanno espresso principi e regole che sono già nel nostro ordinamento!
Questa mentalità non fa altro che esacerbare un conflitto inesistente, e non aiuta la politica, perché sembra quasi che la politica debba “correre ai ripari” per arginare i giudici, o per fare qualcosa che altrimenti, se fosse dipeso solo da lei, non avrebbe mai fatto.
Il che peraltro è probabilmente verissimo…
Perché pensi che i politici, soprattutto quelli gay e lesbiche, abbiano reagito in questo modo?
Perché i nostri politici, tutti, non hanno una formazione in materia di diritti fondamentali, e pensano che sui diritti fondamentali sia sempre possibile fare una mediazione. Ma i diritti fondamentali sono tali proprio perché è impossibile fare mediazioni su di essi. Se sono un essere umano, io non posso essere umano solo al 50%, o al 70%. I diritti e la dignità sociale, o si hanno o non si hanno.
Il matrimonio me lo devi dare perché è un diritto fondamentale, e io non posso esserne escluso solo per una caratteristica del mio modo di essere.
Cosa pensi succederebbe se fosse approvata la proposta di legge Cirinnà?
È evidente che se anche passassero le unioni civili Rete Lenford andrebbe avanti con la strategia giudiziaria, perché esistono persone in carne e ossa con esigenze concrete che chiedono altro. Ma se passeranno le unioni civili la battaglia per il matrimonio verrà rallentata, perché verrà fissata per legge la distinzione fra cittadini eterosessuali, di serie A, e cittadini omosessuali, di serie B.
Poi, non si può mai dire: se domani diventasse capo del governo uno Zapatero, la situazione si sbloccherebbe. Non possiamo sapere in anticipo come andrà a finire.
Ma tu pensi che “gli italiani sono pronti” al matrimonio egualitario?
Il fatto che ci viene sempre detto che gli italiani non vogliono il matrimonio, nonostante le indagini Istat mostrino che ormai la metà degli italiani è favorevole al matrimonio fra persone dello stesso esso, è un puro alibi.
Il problema non sono gli italiani, il problema è l’influenza della Chiesa che è e continuerà a essere forte in assenza di politici forti, e quindi anche la strategia giudiziaria dovrà continuare a scontrarsi con questa realtà.
Il presidente del Consiglio e i ministri una volta e più all’anno vanno a cena coi cardinali; a noi non dà udienza nemmeno se glielo chiediamo: il rapporto di forze è quindi impari. Ma non abbiamo nessuna alternativa se non proseguire, perseverare, pazientare, e continuare a combattere.