GLI HA DATO FAMA in ogni angolo del mondo ma è comprensibile che un personaggio tanto ingombrante come il commissario Montalbano alla lunga gli vada stretto e desideri concedersi una boccata d’aria facendo cinema o teatro. La carriera di Luca Zingaretti è cominciata proprio in palcoscenico col debutto sotto l’egida di Luca Ronconi per poi essere diretto, tra gli altri, da Peter Stein, Franco Branciaroli e Marco Mattolini sia in Come gocce su pietre roventi di Fassbinder che in Bent di Martin Sherman. Negli ultimi anni ha voluto anche cimentarsi nella regia con La sirena, tratto da un racconto di Tomasi di Lampedusa, e La Torre d’avorio di Ronald Harwood, drammatico confronto tra vincitori e vinti alla vigilia del processo di Norimberga. Per il suo ritorno in scena ha scelto di nuovo un drammaturgo inglese, Alexi Kaye Campbell, autore di The Pride che, come si evince già dal titolo, è una pièce a tematica gay. Non potevamo non chiedergli conto di questa nuova avventura e quindi l’abbiamo raggiunto a Roma negli ultimi giorni delle prove.
Dopo tanti anni trascorsi da Bent la ritroviamo in un altro ruolo gay: che ricordi ha conservato di quel primo?
Ricordi meravigliosi per quanto riguarda il testo e la messa in scena: quell’amore disperato nel campo di concentramento nazista dove erano rinchiusi due gay destinati alla morte, l’ho affrontato come una sfida personale. Si parlava d’identità, della società che per svariati motivi spesso costringe a una falsa esistenza come nel caso del mio personaggio che si riscatta manifestando i suoi sentimenti ma pagando con la vita. Ci furono però aspetti molto meno positivi riguardo alle reazioni del pubblico: insulti, urla, spettatori che uscirono dopo il momento del rapporto sessuale peraltro solo verbalizzato. Adesso nessuno più si scandalizzerebbe ma nel 1985 fu uno shock.
Parliamo ora di The Pride cominciando dal titolo.
Si fa riferimento a un gay pride che è in corso a Londra: parte della storia si svolge infatti ai giorni nostri e si sentono i rumori di fondo della sfilata.
Cosa ci può raccontare della trama e del suo personaggio?
L’azione si alterna tra due vicende lontane nel tempo, una ambientata nel 1958 e l’altra nel 20 08 ma i personaggi si chiamano nello stesso modo e gli interpreti sono gli stessi. Io sono Philip e nel ’58 sono sposato con Sylvia (Valeria Milillo) che sta lavorando alle illustrazioni del libro di Oliver (Maurizio Lombardi), uno scrittore per ragazzi: lei non vede l’ora di presentarmelo e così una sera usciamo a cena. Tra me e mia moglie le cose a livello sessuale non vanno bene. Da subito iniziamo una sorta di gioco sotto il quale si cela prima un’attrazione reciproca e poi un legame che sappiamo però di non poter palesare: nel ’58 non era solo un problema morale, in Inghilterra si andava carcere. I due uomini simbolizzano qui l’incapacità di vivere la propria vita perché, pur infelici, sono costretti a uniformarsi a una società massificante in un’atmosfera claustrofobica. Ai nostri tempi invece il fotoreporter Philip ha una relazione col giornalista Oliver, ma decide di lasciarlo a causa dei suoi continui tradimenti mentre lui è monogamo convinto. Soffrendo di solitudine non lenita dai contatti in chat si avvicina a Sylvia, un’amica comune, che cerca di aiutarlo a comprendere perché sta mettendo a repentaglio una storia tanto importante.
Che riflessione vorrebbe stimolare attraverso questo lavoro?
Prima di tutto che non c’è differenza tra amore etero e omo, poi che per fare coming out ci vuole ancora oggi una certa dose di coraggio come ha avuto di recente il monsignore in Vaticano o anni fa l’arbitro di rugby Nigel Owens che dovrebbe diventare un modello per parecchi nostri atleti, infine l’invito a informarsi, a smascherare chi, in malafede, per esempio all’omosessualità associa malattia o pedofilia.
Perché a causa della politica e della Chiesa in fatto di diritti siamo messi tanto male? E lei su matrimonio e adozione come si schiera?
La responsabilità della nostra arretratezza è della destra che in Italia è maggioranza ma prima o poi dovrà fare i conti con una società in cambiamento: se non si vince oggi si vincerà domani. Sono decisamente favorevole al matrimonio mentre mi ritrovo più perplesso circa l’adozione: non mi sono ancora chiarito bene le idee.
Interpreterebbe un personaggio gay anche in una serie tv?
Se fosse un bel ruolo lo farei senza problemi.